Tutte le tragedie che le cronache ci fanno conoscere, raccontano la sofferenza della vita. Quella degli anziani coniugi che “decidono” di porre fine alla loro esistenza con un omicidio-suicidio è una storia che ci mette di fronte alla vecchiaia e alla solitudine, alla paura e alla malattia.
Ci impone di pensare a questo tempo che viviamo così pieno di paradossi e contraddizioni, che da un lato esalta l’allungamento della vita come conquista e dall’altra dimentica le necessità della vecchiaia o pone poca attenzione collettiva alle fatiche, non solo fisiche ma psicologiche, di chi con l’avanzare degli anni si deve confrontare con i cambiamenti e i disagi, con le perdite e i distacchi, il vuoto affettivo e l’isolamento che generano angoscia e disperazione.
L’omicidio–suicidio dei vecchi, purtroppo in aumento, è un gesto solitamente pensato e preparato nel tempo, che denuncia un profondo e lungo sconforto dato dalla mancanza di prospettive e dalla perdita progressiva dei sogni di una vita. Invecchiare non è mai stato facile per nessuno ed è sempre stato un difficile confronto con cambiamento e il decadimento del corpo e della mente, ma oggi più di ieri significa fare i conti con l’idea pervasiva di una società giovanilista che valorizza ed esalta più di ogni altra cosa prestanza fisica e benessere economico. Cose che non appartengono agli anziani. Tuttavia l’aumento di quel dolore interno insopportabile che in età avanzata produce azioni e gesti tragicamente definitivi, non pare essere in relazione con la crisi che stiamo attraversando né con le perdite economiche che essa produce, quanto piuttosto con le trasformazioni rapide e radicali di una società sempre meno empatica e più indifferente alle relazioni, dove la distanza affettiva tra gli individui impedisce agli anziani di adattarsi ad un nuovo modo di vivere.
Essere vecchi oggi fa sentire d’un tratto incomprensibile l’esistenza per quel profondo e repentino cambiamento di prospettiva che rende insopportabile la vita a cui ci si era preparati. In effetti chi uccide un familiare e poi si suicida, lascia come testamento proprio la denuncia di non essere più in grado di capire il mondo e di sopportare la fatica del quotidiano. A differenza di un tempo in cui la vecchiaia era considerata “l´età dell´oro” perché era l´epoca in cui il vecchio poteva godere di tutta l´esperienza acquisita, oggi questa sembra non servire più a nessuno. Se il suo ruolo era quello di custodire i segreti e trasmettere alle nuove generazioni le conoscenze di un’intera esistenza, oggi i saperi sono totalmente diversi. E poi ora che tutto corre rapidamente e le competenze si rinnovano in fretta, l’anziano sembra avere poco da dire e quasi nulla da trasmettere del passato. In una società che punta tutto life is now e sulla produttività, le sue conoscenze sembrano inutili, la sua autorevolezza svalorizzata e, a livello collettivo, l’immagine del vecchio saggio ha ceduto il posto al ritratto dell’inefficienza che spesso fa sentire l’anziano un bagaglio inutile e ingombrante.
Dove i significati dell’omicidio-suicidio possono essere tanti e diversi e intersecano sia la disperazione che la rabbia, la violenza interiore e la malattia mentale o la degenerazione biologica, nell’età avanzata gesti come questi sono l’eco forte di un lungo grido di angoscia che nessuno ancora raccoglie e che anche la comunità più accogliente, fatica a condividere e contenere.
Giuseppe Maiolo – Psicologia età della vita – Università di Trento –www.officina-benessere.it
Foto. I coniugi Maiolo Franchini