“E quando finalmente arrivai nell’East End, scoprii con soddisfazione che non avevo paura della folla. Ero entrato a farne parte. Il mare vasto e maleodorante si era rinchiuso sopra di me, o meglio mi ci ero immerso dolcemente, e non c’era nulla di terribile in questo. “
Jack London si finse povero e dimenticato ed esplorò il lato oscuro della società del suo tempo. Lasciò agi e lussi della sua villa californiana e cavalcò il destriero dell’abisso. Volle descrivere, nel 1902 la parte oscura della civiltà. Scrisse “Il popolo degli Abissi”, un vero e proprio reportage dei bassifondi dell’Impero Britannico. Oggi il popolo degli Abissi è rappresentato dalla gente comune come allora, italiani qualsiasi, che subiscono di tutto, obbligati a star zitti per aver paura d’esser marchiati. Una marchiatura politicamente corretta, ignorante quanto bislacca, contraria alla logica. Quest’articolo era partito come semplice raccolta di testimonianze pro o contro il decreto sicurezza. Molte, troppe, le persone che hanno paura d’esprimersi, l’incipit sempre il medesimo: “Non metta il nome”, “Non vorrei passare per razzista”, “Mi è capitato d’esser aggredito ma sono stato zitto, per alcuni pareva quasi colpa mia”. Questo popolo (che qualcuno s’ostina a definire populista) pare spaventato, all’angolo ed in pochi veramente sanno cosa pensi questo magma silenzioso. Non è un problema di decreti, decrepito argomento di chi il popolo non lo capisce e rappresenta da anni, ma proprio di sentimenti. Non è più solo un gioco di poltrone ma di vero amor di popolo. L’italiano medio ha perso la speranza, è sfiduciato, precario nel lavoro quanto nella vita, non fa figli, ha perso spesso il legame con la storia del proprio Paese, non parla molto con gli anziani e vive una quotidianità folle. Ma c’è speranza in fondo al tunnel? In realtà la speranza è dentro di noi, nel nostro patrimonio culturale che dobbiamo recuperare. I giovani devono essere messi nella condizione di fare della cultura la loro Ambrosia, un nettare che va tenuto alla larga dalla politica, o almeno da questa politica del pensiero corretto, spesso codardo, fasullo, a tratti autolesionista. Lo standard, la globalizzazione delle idee, rischiano d’uccidere un Paese, il nostro, che ha sempre vissuto a pane e genialità. Il popolo degli Abissi sa usare le mani meglio di chiunque in Europa e forse al mondo, la manifattura italiana non ha tanti eguali, eppure veniamo educati alla produzione industriale su larga scala, globalizzata e standard. Quest’aspetto trasla pure nella scuola, nella mente, convince il popolo di Dante, Leonardo e Fermi d’esser uno qualsiasi, piatto, seduto a guardare la storia che invece lo vede da 2000 anni protagonista nelle arti, nelle esplorazioni, nella scienza e nella cultura. Anche il calendario utilizzato in tutto il mondo è nato in questo pezzo di terra dal nome femminile “Italia”. Non dobbiamo permettere d’insegnare a dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Ci si riempie la bocca con le prove standard, “il tutti uguale” come mantra, in realtà al ribasso, l’individuo e la sua specificità mentale rifiutati. L’uguaglianza degli abissi la dobbiamo rifiutare, dobbiamo insegnare a ragionare e soprattutto veicolare la specificità del singolo, una specificità che vada ad aiutare la massa, non ad educarla ma ad istruirla all’essere squadra nella diversità. I giovani italiani devono squarciare quel velo di Maya che li rende avulsi al Paese natio, devono conoscere la storia per capirsi, per anni dimenticata in nome di comportamenti universali (quasi che scappare all’estero fosse obbligatorio ed un diritto) spesso in ossimoro con una società svuotata, scarica, proposta da una intellighenzia ormai “aventiniana per principio”, simile agli efori di Sparta, che mai e poi mai si mischiavano con il volgo, di cui però, pretendevano di conoscerne anima, gusti e volontà. Vanno vaccinati culturalmente questi giovani, vanno attrezzati per reggere l’urto della guerra psicologica a cui sono sottoposti, in primis ragionare da precari, con mamma e papà che devono mantenerti e impossibile o quasi. Ragionare da disoccupati, da non considerati li porta nel tunnel depressivo (lo dicono le statistiche). Devono lavorare questi giovani e tornare a dialogare socraticamente, devono decostruire gli slogan e portare il Paese fuori dalla bolla di follia da cui è avvolto. Saggi nel Paese ormai ve ne sono pochi, quei rari devono fungere da fari per il popolo degli Abissi. So che chi legge può sobbalzare per la durezza delle metafore ma il bicchiere è colmo ed il tempo scarseggia. Manzoni nei suoi scritti lasciava le sentenze ai posteri, noi, forse siamo ancora in tempo per cambiare, ma dobbiamo fare uno sforzo, iniziando a comprendere, ad esempio che il vero capolavoro di London non è “Zanna Bianca” ma il “Popolo degli Abissi”, libro svolta che fu osteggiato e boicottato dai contemporanei ma che più di cento anni dopo appare come una perfetta fotografia della società italiana. Uscite, discutete, confrontatevi negli abissi per cambiare in profondità ed evitare che 200.000 giovani nostrani ci lascino annualmente tra le lacrime ed i rimpianti.