Il sistema scolastico italiano nel computo generale della graduatoria OCSE scende dal 32esimo al 34esimo posto. Una débâcle? In realtà no dato che in matematica il paese raggiunge la media OCSE. I guai arrivano dalle scienze e dalla lettura. Altro dato che balza all’occhio: gli studenti della penisola continuano poi a detenere il record delle assenze ingiustificate e sono sopra la media per le bocciature (1 ragazzo su dieci a 15 anni ne ha già alle spalle una), anche se la percentuale è in calo di 2 punti rispetto al 2009. Eppure i 15enni in Italia trascorrono più tempo sui banchi (29 ore la settimana) e nello studio (21 ore) rispetto alla media Ocse (per un totale di 50 ore per l’Italia contro le 44 della media Ocse) e soprattutto rispetto a paesi come la Finlandia (36 ore) o la Germania (36 ore) o la Svizzera (38), che raggiungono migliori risultati con un minore tempo di apprendimento. Dove perde il tubo? Probabilmente i fattori sono molteplici: precariato dei docenti, mancate riforme strutturali e criticità di un paese assai diversificato. In Italia ancora è la Riforma Gentile (datata 1924) a dare l’impianto macro al sistema. Messe nel cassetto per motivi puramente politici riforme strutturali e strutturate come la Berlinguer (scuola di base a sette anni, medie eliminate). Il sistema soffre partendo dal mezzo, il vero gap dei cicli è rappresentato dalle ex scuole medie. Primaria e superiori mantengono un certo livello anche se è il sistema a soffrire le troppe micro riforme, i continui cambiamenti “a pezzi”. Gli insegnanti, la parte viva, navigano a vista, spesso precari non riescono sempre un continuum al percorso dei ragazzi. Il ruolo docente inoltre attraversa una crisi profonda per vari fattori: rapporti scuola/famiglia sempre più complessi, problematiche che esulano la didattica disciplinare a causa del mutamento della società Alla luce di tutto i risultati non sono da buttare. La matematica, tallone d’ Achille di un paese che ha da sempre nelle materie umanistiche il cavallo di battaglia. In Italia abbiamo reso lo scientifico umanistico per forma mentis, aspetto che queste statistiche “non vedono”. Gli studenti infatti sono abituati a ragionare più che a sottoporsi ad infinite batterie di test (vedasi modelli anglosassoni). La scuola italiana però di recente ha cambiato rotta e puntato su formazione docenti d’area scientifica più specifica e metacognitiva, dopo qualche anni i risulti in matematica si vedono. Molto studenti non la mettono più tra le materi più odiate. Preoccupa la lettura, ma il nostro è un paese che per statistica legge poco, anche se i dati dei libri in prestito tramite biblioteca ci mettono come terzi nella Ue.
In base all’Ocse, comunque, il primato tra i paesi industrializzati per la preparazione degli studenti va al Giappone (che è anche al secondo posto mondiale), davanti a Estonia e Finlandia, Canada, Corea e Nuova Zelanda. Al top assoluto si afferma Singapore (non-Ocse) e registrano performance di eccellenza anche i ragazzi di Taiwan, Macao, Vietnam e Hong Kong. Ma siamo sicuri i sistemi scolastici di questi paesi siano applicabili? In Italia si lavora più che altrove (e siamo dagli anni ’70) un paese pilota in termine d’inclusione, all’estero non è sempre così. La scuola italiana ha come obiettivo anche il superamento delle difficoltà d’apprendimento, un lavoro che viene fatto su classe e che aiuta moltissimi ragazzi (che spesso questi test non “vedono”). Il sistema partorisce ogni anno un buon 27% di ricercatori impegnati nei settori più disparati.
Dallo studio realizzato dall’Ocse su un totale di oltre 70 paesi (inclusi 37 partner non-Ocse), emerge che i 15enni di alcune province o regioni del nord Italia, quali Bolzano, Trento e la Lombardia hanno competenze che li collocano ai primi posti della graduatoria globale, vere eccellenze le scuole altoatesine e trentine. In queste realtà si è investito molto in termini di formazione docenti d’area ed i risultati sono arrivati. L’Italia perde due posizioni ma è in ripresa a livello strutturale, in attesa di poter finalmente applicare una vera e propria riforma scolastica che arriverà (il forse è d’obbligo) a quasi cento anni dall’ultima.