Socrate: vittima di fondamentalismo democratico
La maggioranza ha sempre ragione?
La filosofia nella storia antica fu spesso assi democratica, un concetto che a noi moderni sfugge. Il paradosso della libertà ci perseguita da molti secoli, senza apparenti vie di fuga, anche nelle nostre piccole questioni.
La più grande differenza tra Socrate ed Aristotele? La coerenza intellettuale. Due grandi filosofi, il primo deceduto in nome di un comportamento, il secondo che al martirio preferì le perifrasi, ricamando questo concetto: “niente patibolo onde evitare agli ateniesi di peccare ancora una volta nei confronti della filosofia”. Moglie ubriaca e botte pienissima per Aristotele, nei libri di filosofia ci è finito ugualmente, tra una sottana di potenti e l’altra ha sempre vissuto dalla parte della “maggioranza”, del potere costituito. Imitato da molto intellettuali italiani moderni, critici a sprazzi, pronti a ritrattare in cambio di qualche libretto o per amicizie editoriali, spesso a ridosso dei confini politici. Il grande Socrate, il pensatore ateo (l’accusa formale fu quella, ateo e corruttore di giovani) fu in realtà tradito dai comici e dal teatro. I suoi accusatori infatti spinsero sull’acceleratore negli anni precedenti, stimolando la creazione di spettacoli basati sulla negatività (in chiave comica) del filosofo. Aristofane con la commedia Nuvole non fu infatti l’unico ad attaccare Socrate, ci si mise anche Amipsia con il Conno. Questi spettacoli si piazzarono nei primi posti alle gare di teatro, dato significativo che fa capire quanto il pubblico non lo amasse. Anche Platone (definì la democrazia ateniese una teatrocrazia) nell’Apologia pone Aristofane come antico accusatore, uno di quelli insomma che preparò il terreno, che permise a Meleto, Anito e Licone di presentare l’accusa in tribunale. I comici come i media odierni, spesso al “lavoro” per suggestionare l’opinione pubblica, che si autolegittima e barrica dietro alla “maggioranza” sempre dalla parte della ragione. Successe anche che su 1213 professori universitari, solo 12 non giurassero fedeltà a Mussolini, una minoranza infima ma per questo nel torto? Platone, poi, era del tutto avulso alla democrazia come la intendiamo noi. Secondo Ferrari infatti, nonostante i tentativi compiuti negli ultimi decenni da numerosi studiosi di interpretare in senso liberal-democratico la filosofia politica di Platone, la tesi del filosofo austriaco Karl Popper secondo la quale Platone fu un pensatore totalitario, che avversò in maniera radicale la società aperta e la democrazia, appare difficilmente contestabile. L’avversione platonica nei confronti della democrazia è di natura profonda e investe importanti aspetti del suo pensiero filosofico, sia sul versante antropologico sia su quello etico e morale. Per Platone la democrazia assume in maniera del tutto ingiustificata l’uguaglianza degli uomini e rinuncia programmaticamente al principio di competenza. Inoltre essa è destinata inevitabilmente a degenerare nella più terribile delle forme di governo: la tirannide. 500 giudici ateniesi tirati a sorte influenzati da teatri, morale religiosa e pettegolezzi, a rigor di logica non adatti a giudicare un uomo di notevole levatura, che infatti, secondo Platone, al processo affermò: “rischiate ad uccidere un uomo del mio calibro, non è facile che in questa città rinasca a breve”. Sempre Ferrari, spiega come Platone affianchi alla riflessione filosofica sui fondamenti etici e antropologici della politica un’approfondita analisi storico-fenomenologica delle varie forme di governo. Come la città democratica è dominata dall’uguaglianza (isonomìa) dei cittadini, così l’uomo democratico è un individuo ‘isonomico’, nel quale è assente ogni principio gerarchico tra i desideri. Nell’uomo democratico non esiste un orientamento psichico prevalente, dal momento che ogni desiderio (perfino quello di sapere) si colloca sullo stesso piano degli altri: la sua anima è dominata dal principio di libertà, la quale sconfina inevitabilmente nella licenza.
Dal punto di vista storico la democrazia è destinata a trasformarsi nella tirannide che rappresenta la forma più nefasta di governo. L’eccesso di libertà induce i cittadini a consegnarsi a un difensore, solitamente un demagogo, il quale sollecita le istanze irrazionali degli individui e riesce a farsi consegnare ‘democraticamente’ il potere, trasformandosi in tiranno, ed eliminando tutte le libertà della democrazia. Platone fu il primo pensatore a formulare il cosiddetto paradosso della libertà o della democrazia: si tratta dell’incapacità della democrazia di autofondarsi, cioè della circostanza che una democrazia può decidere in forma democratica di annullarsi. Il fondamentalismo democratico nacque durante la guerra fredda, l’espressione è di Garcia Marquez. Indica in pratica l’arroganza della democrazia che attualmente racchiude e copre il contrario di ciò che etimologicamente esprime, con annessa l’intolleranza verso qualsiasi altra forma d’organizzazione politica che non sia legata al parlamentarismo, la compravendita del voto ed il mercato politico. Platone non amerebbe la nostra democrazia oligarchica, basata su élite economiche, il pensatore sognava infatti un governo d’illuminati pensatori, una repubblica meritocratica fondata sulla filosofia. Che si sovvertano le classi (Marx), che si porti nella politica la filosofia (Gentile) il problema di base è questo: tutti gli esseri umani vogliono arrivare. Può apparire strano ma su quest’aspetto fondò le sue basi il fascismo, Mussolini infatti, era per il socialismo “realizzato”, ovvero ove ogni singolo individuo (come non ricordare i capi-caseggiato? Potere infimo, ma dai forti risvolti simbolici) avesse tra le mani un pezzetto di potere. La questione naufragò tra mille negoziazioni e strategie, in primis il mantenimento del Re e la mediazione con il Vaticano, senza portare ai risultati teorizzati, complice il cesarismo dello stesso Mussolini, che pur leggendo Platone cadette nella trappola della tirannide, l’iter del Duce è filosoficamente emblematico. Leader socialista, proletario, giornalista d’assalto, poi politico che tenta l’elezione democratica. La ottiene in parte, forza la mano con la simbolica Marcia su Roma (s’ispirò al romano Augusto) e si ritrova al potere con una cerchia di persone, che perderanno importanza negli anni. Dovrà però anche lui inchinarsi agli oligarchi industriali che lo useranno per poi gettarlo, rinnegarlo e riprendere gli affari come niente fosse nel 1946 (gli intellettuali si metteranno a larga maggioranza in fila, tranne Croce e pochi altri). Gli italiani saranno privati della libertà ma se ne accorgeranno solo nel 1943, nel 1946 a guerra finita la democrazia vigerà in Italia, quella oligarchica o quella intellettuale? In realtà ancora non lo abbiamo capito, noi diamo ragione solo e sempre alla maggioranza senza ulteriori approfondimenti, dimenticando Voltaire: “a favore di Socrate votarono ben 220 giudici, il tribunale dei 500 contava quindi ben 220 filosofi: è molto”. Quanti filosofi (intese persone di buon senso, la chiave di lettura moderna è quella) conterà invece l’elettorato medio moderno?