La tortura è un crimine non ancora previsto nel nostro ordinamento. Eppure la Corte Europea di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano per i comportamenti delle forze dell’ordine nella scuola Diaz di Genova durante il vertice del G8 del luglio 2001 per il reato di “torture” ed ha contestato la mancata specifica previsione legislativa.
A mio parere tale sentenza – per i fatti del G8 – non è fonte di verità scoperta e rivelata unicamente dal Giudice Europeo – perchè dobbiamo ricordare e riconoscere quanto manifestato dalla Corte di Cassazione italiana la quale, nel 2011, ha ratificato il “tradimento dei colpevoli ai doveri assunti nei confronti della comunità civile.” Mi sono chiesto perché il Giudice italiano non ha ritenuto applicabili per l’ordinamento del nostro paese i principi normativi della tortura esistenti nella Convenzione Europea. Chissà forse è stato un ennesimo esempio di non-certezza del diritto e pensare di vivere in una società internazionale è ancora… una tendenza. La nostra Società è basata su principi di libertà, uguaglianza e pari dignità e ogni fatto, avvenimento o decisione ha una sua dimensione storica, politica e giudiziaria: per i fatti di Genova è stato “troppo” sostenere che la tortura – in assenza di una norma proibitiva – è crimine di Stato e vive all’ombra dello Stato? Certo la responsabilità penale è personale ma quando la condanna è riferita a uno Stato, la politica non può continuare a “farfugliare” o stare “ferma e piatta”: a Genova ci sono stati avvenimenti ed episodi che impongono ancora oggi spiegazione, riflessione e iniziative. Come dimenticare che la città di Genova, vittima di ferocia e inefficienza, è stata messa a ferro e fuoco per colpa di facinorosi manifestanti e di poliziotti irresponsabili?
Noi siamo il paese di Cesare Beccaria, quello che ha scritto “Dei delitti e delle pene” il quale aveva condannato la tortura quale …” residuo di barbarie e inadeguato per la ricerca della verità: essa è la forza offensiva e aggressiva del tiranno per consolidare il proprio potere”. E allora introdurre o no il crimine della tortura? Certo, ma non basta. Il disegno di legge che prevede il reato di tortura (in forma speciale o quale aggravante di reato comune) sarà definitivamente discusso dal Parlamento e se approvato, rappresenterà un primo passo efficace per chiarire con rigore i limiti dell’esercizio dei pubblici poteri: rispetto sia alle delicate esigenze di polizia sia alla gestione dei conflitti sociali. E’ sufficiente? La politica può pensare ad altro? Certo che no: formalizzare il crimine significa intervenire sugli operatori di polizia per una moderna professionalità e per un diverso “spirito di corpo” e nel frattempo significa anche confermare al cittadino il diritto di manifestare democraticamente il proprio pensiero e dissenso. Infine in questa vicenda è provato che lo Stato di diritto aveva cessato di esistere e la violenza era diventata l’unica forza operante: ancora oggi la politica ha il dovere di individuare e l’obbligo di indicare le varie responsabilità politiche, senza partire in avanti e richiedere – come è avvenuto in questi giorni – le dimissioni di “burocrati” per poter poi disporre di qualche potente poltrona.