Dal 1° luglio, tra sette giorni, la percentuale di prelievo salirà – anche se non per tutti – dal 20% al 26 per cento (situazione analoga a quella verificatasi tra il 31 dicembre 2011 e il 1° gennaio 2012, quando il prelievo su azioni, obbligazioni e fondi passò dal 12,5% al 20 per cento).
La transizione dalla vecchia alla nuova percentuale prevede alcuni passaggi di tipo automatico e altri invece lasciati alla scelta del risparmiatore. Rammentando, preliminarmente, che per i titoli di Stato (BoT, CcT ecc.) italiani e per quelli esteri degli Stati white list (non paradisi fiscali, cioé) e assimilati, il prelievo non cambierà e resterà al 12,5% anche dal 1° luglio in poi. Per tutti gli altri prodotti finanziari, invece, il meccanismo predisposto nel decreto legge 66, approvato definitivamente mercoledì scorso, prevede che:
per i redditi di capitale (dividendi, cedole, interessi dai conti correnti bancari e postali) l’aumento al 26% è automatico e dipende dalla data di maturazione o da quella di erogazione, secondo i casi. Un dividendo pagato il 30 giugno sconta imposte al 20% mentre da martedì 1° luglio pagherà il 26. Sugli interessi dei conti correnti e delle obbligazioni vale invece il principio di maturazione, per cui gli interessi maturati fino a lunedì prossimo restano comunque tassati al 20 per cento. Al risparmiatore non tocca nessuna scelta né alcun obbligo;
per il risparmio gestito (fondi comuni, gestioni patrimoniali) il passaggio è ugualmente automatico e la regolazione delle imposte avverrà «pro quota»: sarà il gestore, cioé, a calcolare quanta parte dei guadagni è maturata in vigenza della vecchia aliquota e quanta invece dopo il rincaro. Anche in questo caso, il risparmiatore non ha obbligo né decisioni da prendere;
per i capital gain (che il Fisco colloca tra i «redditi diversi») il discorso è differente: si può decidere di «affrancare» il valore al 30 giugno, pagando quindi le imposte dovute fino ad allora e disporre dal 1° luglio di un nuovo valore di partenza dell’investimento. Questa possibilità – una specie di “vendita e riacquisto virtuale” – riguarda le plusvalenze e le minusvalenze sul valore di azioni, obbligazioni e strumenti derivati acquistati dal risparmiatore in via diretta o collocati all’interno di un dossier titoli presso un intermediario (se invece sono inseriti all’interno di una gestione patrimoniale o di un fondo comune si ricade nel caso del risparmio gestito citato prima). Attenzione: da questa vendita e riacquisto virtuale vanno esclusi i titoli che resteranno o saranno tassati al 12,5%.
Una volta individuati gli strumenti affrancabili, c’è da capire se la scelta conviene. La decisione va presa entro il prossimo 30 settembre, quindi c’è il tempo per valutazioni accurate. Bisogna tener conto di diversi fattori: la posizione dell’investimento e di tutto il portafoglio (in perdita o in attivo); la possibilità di far valere perdite precedenti, realizzate negli ultimi quattro anni e che si recuperano in misura minore da luglio; le aspettative rispetto allo strumento considerato (l’affrancamento è tanto più conveniente quanto più si confida su un forte rialzo da luglio in poi).
Ma qualsiasi decisione va poi confrontata con le necessità individuali (si potrebbe aver bisogno di liquidità a breve, ad esempio) o la propria condizione di risparmiatore (affrancare significa pagare imposte e quindi disporre della provvista necessaria).
Inoltre, nel confrontare gli andamenti dei vari strumenti presenti in un dossier titoli, bisogna sempre tener presente che, nell’affrancamento, eventuali plusvalenze o minusvalenze su titoli di Stato e simili maturate al 30 giugno non possono essere compensate con quelle maturate su azioni, obbligazioni o altri strumenti che invece entrano nell’affrancamento stesso.