“Fabbriche oscure”, sempre più verso un’economia a misura di macchina

Nel mondo industriale, dove un tempo lampeggiavano le luci al neon delle officine, oggi inizia a regnare un buio perfetto.

Non un’ombra di vita umana, non un rumore di passi, ma solo il suono meccanico costante di robot che lavorano senza tregua.

Sono le cosiddette “fabbriche oscure”, templi dell’automazione totale, dove la luce è superflua perché nessun occhio umano deve vedere.

Qui robot e algoritmi si passano il testimone in un ciclo produttivo ininterrotto, calibrato al millesimo di secondo.

Nate come esperimento in alcuni distretti cinesi, queste cattedrali meccaniche promettono margini di efficienza mai visti come produzione 24 ore su 24, sprechi ridotti al minimo e difetti quasi inesistenti. Nessun operaio da sostituire per malattia, niente permessi per le ferie.

La tentazione è forte anche per l’industria occidentale, affamata di competitività e dalla continua produzione.

Eppure, dietro il fascino lucente della perfezione industriale automatizzata, si allunga un’ombra che ci pone delle domande sul futuro di questo settore.

Che ne sarà di chi, a volte per generazioni, ha vissuto del rumore delle presse e del calore delle linee di montaggio? Che ne sarà di tutti i lavoratori che oggi producono negli stabilimenti oggetti di uso quotidiano dalla semplice forchetta, alle automobili e a tutti gli altri oggetti che noi utilizziamo?

Le conseguenze della continua automatizzazione, se non a misura d’uomo, potrebbero essere preoccupanti.

Quartieri costruiti intorno alle fabbriche rischiano di svuotarsi, le economie locali di collassare.

Alcuni vedono un futuro nel quale l’essere umano supervisiona e programma, anziché assemblare; altri temono un esodo forzato verso lavori precari, in una rincorsa disperata a reinventarsi continuamente.

La corsa tecnologica non aspetta e il divario tra chi si adatta e chi resta indietro potrebbe diventare un abisso.

Così, quelle che oggi ci appaiono come meraviglie dell’ingegno potrebbero, domani, essere ricordate come il punto di non ritorno.

Tutto dipenderà da come sapremo governare la transizione, potremmo enunciare una nuova rivoluzione industriale, prima che le “fabbriche oscure” diventino simbolo non solo di progresso, ma anche del silenzio irreversibile di intere comunità di lavoratori.