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Pienone e emozioni a pelle, a S. Giacomo, per il concerto retró «A Gipsy Swing Evening»

29 Marzo 2023

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Pienone e emozioni a pelle, a S. Giacomo, per il concerto retró «A Gipsy Swing Evening»

Mara Da Roit
Lino Brotto

Fa riflettere su quanto spazio ci sia per tenere vivo il passato e riandare ogni tanto alle radici, musicalmente parlando, quanto accaduto nei giorni scorsi al Teatro di San Giacomo di Laives. Dove si è rivelato un successo clamoroso il concerto-evento «A Gipsy Swing Evening», che ha trasportato idealmente il pubblico negli Anni Ruggenti del Novecento, alla scoperta o riscoperta dello Swing. Un genere oggettivamente distante da quelli di largo ascolto oggi (anche se va detto che lo Swing ha improntato lo sviluppo musicale successivo alla sua permanenza in auge), ma che ha saputo attrarre estimatori a frotte, interessati ad approfondire la propria cultura e conoscenza musicale, a regalarsi emozioni di gusto retró, o semplicemente a cogliere una proposta di qualità e fuori dal comune.
Sta di fatto che il teatro si è affollato in ogni ordine di posti, con un tutto-esaurito pari a 350 presenze e un unico ma profondo rammarico per gli organizzatori del Centro culturale San Giacomo: che non tutti siano riusciti a entrare. 

Il passaggio interiore da un’epoca a un’altra è avvenuto per gli spettatori quasi senza rendersene conto: è stato sufficiente lasciarsi catturare dalla magia della situazione. Un salto all’indietro nel tempo di circa un secolo nella sua parte più corposa, se si prende come riferimento la seconda metà degli Anni Venti in cui nacque lo Swing. Il quale ha tenuto banco in varie sue declinazioni: lo Swing americano – immancabile, dato che il genere vide la luce, con una matrice nera, negli Stati Uniti d’America –, lo Swing europeo. Ed ecco poi, inserite a più riprese nella scaletta, svariate preziosità dello stile Gipsy Swing, o Jazz Manouche, inventato da Django Reinhardt.
Determinante agli effetti della riuscita della serata è stata la professionalità dei musicisti, che fra l’altro ha avuto modo di esplicitarsi anche di fronte a una defezione per ragioni di salute appresa il giorno stesso del concerto. E risolta con un avvicendamento in corsa che, vista la levatura dell’artista resosi disponibile a completare l’organico, ha rappresentato addirittura un valore aggiunto. 
In definitiva è certamente corretto parlare sia di un successo del gruppo che, individualmente, dei cinque musicisti: Miki Loesch al piano, Lino Brotto alla chitarra solista, Fiorenzo Zeni al sax, Francesco Zanardo alla chitarra ritmica, Beppe Pilotto al contrabbasso. Un amalgama risultato perfetto, e capace appunto di dare spazio tanto a un sinuoso interplay quanto al gesto musicale dei singoli, punteggiato da guizzi e virtuosismi. 

C’è stato, a ben guardare, anche un sesto protagonista attivo dello spettacolo, ovvero il pubblico: ammaliato, ricettivo, ma soprattutto reattivo e interattivo. Non ha lesinato i complimenti (calorosamente urlati); e quanto agli applausi, ne ha dispensati infinite volte anche a scena aperta. Scroscianti, avvolgenti. 

Quello che si percepiva in sala era un sentire bello, pieno, connotato da concentrazione e coinvolgimento emozionale. Un mood al quale hanno contribuito anche le immagini che accompagnavano le esecuzioni. 
Da tempo il Centro culturale San Giacomo è solito proporre agli artisti dei propri eventi la possibilità di completare l’aspetto musicale – giustamente dominante – con una componente visiva. 
E anche stavolta l’idea ha potuto trasformarsi in realtà, creando un intreccio fra linguaggi espressivi. Lo schermo a fondo-palco ha accolto e rimandato alla platea soggetti evocativi capaci di rafforzare il senso “macchina del tempo”: come il grammofono, per esempio. Ma in particolare vanno evidenziati i meravigliosi quadri d’autore firmati dai pittori Philip Gaida, Claudio Calabrese e Renata Odorico, che si sono affiancati alle note musicali discretamente e con raffinatezza. Vi erano opere incentrate sul genere Manouche, e veri e propri ritratti di Django Reinhardt, Duke Ellington, Marlene Dietrich, Charlie Chaplin (alcuni dei quali, dipinti per l’occasione). 

Tornando al discorso squisitamente musicale, il preannunciato viaggio a cavallo del tempo e dei continenti con il filo conduttore dello Swing e del Gipsy Swing si è compiuto senza meno, con alcune scelte magari più apprezzate da qualcuno, altre da altri, com’è nella natura delle cose (all’interno di un genere, del resto, le sfumature e declinazioni non mancano), ma sempre con il comune denominatore delle esecuzioni d’alto livello. 

Fra i brani interpretati: “Bolero”, “Hungaria” e “Minor Swing” di Django, quest’ultima tornata in auge anche in tempi più recenti poiché ricompresa fra i temi del film “Chocolat”, la famosa “Ain’t Misbehavin’” di Fats Waller, ripresa nel tempo da interpreti di grido tra cui Duke Ellington, Louis Armstrong, Ray Charles, Ella Fitzgerald, le suadenti “J’attandrai” e “Que reste-t-il de nos amours?”, la celeberrima “Lili Marleen”. Per non parlare di un brano che ha attraversato i decenni divenendo un grande classico internazionale, dopo essere nato come colonna sonora del film “Tempi moderni”: “Smile” di Charlie Chaplin. 

Questo e altro per una serata che rimarrà sicuramente impressa nella mente chi c’era – e avrebbe tra l’altro sperato che il concerto non finisse mai, se è vero com’è vero che all’informazione data dagli artisti di dover tagliare un brano per rientrare in una determinata tempistica, ha fatto seguito il levarsi dalla platea di uno spontaneo coro di: “Nooooooo!!” 

Fotoservizio: Stefano Odorizzi