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Cesare Orler, il giovane e acuto critico d’arte

28 Marzo 2023

Cesare Orler, il giovane e acuto critico d’arte

Cesare Orler

Cesare Orler è nato nel 1997 e si è laureato nel 2022 all’università Ca’ Foscari di Venezia in Beni Culturali con specializzazione in arte contemporanea. La tesi di Laurea Triennale ha avuto come argomento Tancredi Parmeggiani, mentre la tesi di Magistrale Carlo Cardazzo e la Galleria del Cavallino. Da 6 anni collabora con la Rivista d’arte Aw Art Magazine, prima ArteIn World, e fa parte del comitato di redazione. Da 5 anni è segnalatore critico per il Catalogo dell’Arte Moderna Editoriale Giorgio Mondadori. Da 5 anni gestisce il Cesare’s Corner, la prima trasmissione culturale privata ad essere mandata in onda sui tre canali di televendita commerciale d’arte più seguiti in Italia. È critico d’arte, curatore e presentatore televisivo con oltre 50 mostre all’attivo in tutto il territorio italiano e altrettante pubblicazioni.

Dott. Orler, Lei è un membro della celebre famiglia di galleristi Orler conosciuta in Italia e all’estero per aver diffuso l’arte al grande pubblico. Lei lavora alla Orler Art Gallery di Favaro Veneto, è redattore dell’International Contemporary Art Magazine, nonché selezionatore per il Catalogo di Arte Moderna Mondadori. Quali di queste attività predilige di più? 

Sono attività molto diverse per cui servono competenze altrettanto diverse. Sono figlio di galleristi e nipote di galleristi, non è un caso che la maggior parte del tempo la dedichi proprio a seguire la sede della Galleria Orler di Abano Terme. Fin da quando ne ho memoria stavo in galleria, prima giocando sulle pile di tappeti, poi ascoltando e cercando di imparare da mio padre e ora trattando direttamente con i collezionisti. È un lavoro per cui non ho dovuto studiare nulla, anche perché non ci sono corsi che possano formare una professione come questa, semplicemente ho iniziato fin da subito e gradualmente ho imparato con l’esperienza. Riguardo alle altre due attività, sono state successive alla laurea in Beni Culturali e alla specializzazione in Arte Contemporanea all’università Ca’ Foscari di Venezia. Ho sempre amato scrivere e parlare d’arte e poter dire la mia sulla rivista AW Art Magazine è sempre un grande piacere. Riguardo al Catalogo dell’Arte Moderna editoriale Giorgio Mondadori, ho l’occasione per segnalare ogni anno i due artisti emergenti italiani che ritengo meritevoli di essere inseriti nel più importante catalogo italiano che si dedichi a mappare la situazione artistica contemporanea. Se proprio devo espormi esprimendo una preferenza, trattare con gli artisti e poter proporre le loro opere è l’aspetto che più amo di questo lavoro.

Da diversi anni, soprattutto dopo l’Arte Povera e l’avvento della Transavanguardia, i riflettori sembrano essersi spostati nettamente su altre piazze rispetto all’Italia.  Secondo Lei l’arte come fenomeno sociale in Italia che connotazione ha oggi e che potenzialità potrebbe sviluppare? 

In Italia non abbiamo più avuto gruppi o correnti degni di nota dopo i due movimenti menzionati. Da un lato è giusto dire che nessun Paese può vantare chissà quali correnti contemporanee (l’Inghilterra probabilmente ha chiuso questa stagione con i Young British Artists, il gruppo di Damien Hirst), dall’altro è pur vero che in Italia questa tendenza si è interrotta molto prima che altrove. Così come in tutto il resto della società, è diventato un must il “chi fa da sé fa per tre”. Abbiamo tanti singoli artisti di altissimo profilo che non vogliono essere etichettati in alcun modo e questo vale sia in Italia sia altrove. Nel nostro Paese abbiamo Maurizio Cattelan, Francesco Vezzoli, Rudolf Stingel e Vanessa Beecroft che possiamo considerare davvero internazionali, attualmente attivi, trattati da importanti gallerie straniere e con un mercato riconosciuto e apprezzato più all’estero che in Italia.
Riguardo al fenomeno sociale, l’arte che si possa considerare tale oggi è quella di pochissimi artisti che sfruttano canali alternativi rispetto a quelli canonici e istituzionali. Pensiamo al caso Banksy ad esempio. Si tratta di un artista senza identità che ha creato la sua celebrità non attraverso mostre in gallerie o musei e nemmeno attraverso pubblicazioni o fiere, ma sui social network. Questo indica che i canali tradizionali di diffusione dell’arte non riescono a essere “popolari” e ottenere un risultato comunicativo competitivo rispetto a vie più dirette come Instagram. Se vogliamo che l’arte diventi un fenomeno sociale dobbiamo cambiare drasticamente il modo in cui parliamo d’arte, proponiamo le opere e promuoviamo gli eventi. Le potenzialità sono illimitate quanto quelle degli stessi mezzi di comunicazione e non è vero, come, invece, si dice spesso, che siccome l’arte non è un argomento popolare allora non si possano ottenere numeri record di ascolti o visualizzazioni. In fin dei conti, se i programmi di Alberto Angela riescono in alcune occasioni a eguagliare lo share di trasmissioni molto meno sofisticate, perché non potremmo sperare di fare lo stesso con altri programmi/eventi/iniziative legate al mondo dell’arte contemporanea?

Dott. Orler, una volta in Italia grandi movimenti artistico-culturali esprimevano personalità di alto livello in grado di richiamare ampi consensi. A cosa è da attribuire l’attuale situazione italiana? 

Oggi per far parlare di sé si punta sullo scandalo e sulla provocazione. Il risultato è che molte persone si avvicinano al tema ma ne sono in parte respinti. Pensiamo alla banana di Cattelan di un paio di anni fa. Non c’è stato telegiornale che non abbia riferito la notizia; grandi aziende come Durex hanno creato pubblicità ad hoc nel giro di qualche giorno, a dimostrazione di quanto siano ricettive rispetto ad operazioni così riuscite. Questo tipo di “trovate” fanno parlare tutti, ma come ogni argomento che si rivolga ad un ampio pubblico i pareri sono contrastanti. Idem il caso Banksy, il miglior comunicatore in ambito artistico del terzo millennio. Credo che proprio il fatto che chiunque possa informarsi autonomamente attraverso qualche semplice clic online porti le opinioni a formarsi in totale libertà e quindi anche le opinioni diventano sempre più varie. Quello che mi auguro, come affermava Warhol e poi Koons e ora un’infinità di altri artisti contemporanei, è che purché se ne parli, va bene qualunque cosa. Nel lungo periodo questo discorso non può funzionare perché porterebbe a opere dal dubbio interesse artistico, ma per il momento è l’unico sistema per portare gente che ha tutt’altri interessi a scoprire un settore del tutto ignorato. E questa è forse la necessità più urgente.

Cosa pensa delle varie Accademie d’arte esistenti, da Brera a Firenze, Venezia, Roma e Urbino, solo per citarne alcune? 

Premetto che sono un critico d’arte e un curatore, quindi non ho frequentato le Accademie d’arte ma altri corsi di studio, quindi non ne posso parlare come può fare una persona che ha effettivamente vissuto quegli ambienti. Tuttavia, collaboro con decine di artisti che le hanno frequentate in decenni diversi, dagli anni Sessanta a oggi e un’idea di come si stiano trasformando me la sono fatta. Ora più che mai non si possono considerare luoghi necessari da frequentare. Da un lato perché la figura dell’artista si è evoluta e non è più richiesto un “saper fare” che prima era molto più determinante per stabilire chi ce la fa e chi resta fuori dai giochi.  

 

Giornalista pubblicista, scrittore.