“Scuola bilingue? Oggi non esiste il Clil, aprire sezioni con docenti misti”

Periodicamente si riapre in Alto Adige il dibattito sulla scuola bilingue. La Uil Scuola propone una strada semplice: “Creare sezioni dove docenti italiani e tedeschi lavorino insieme. E basta chiamare Clil quello che non è affatto Clil”.
“Il bilinguismo è il campo della retorica più spinta nella nostra provincia”. Marco Pugliese, segretario regionale della Uil Scuola, non va per il sottile di fronte al nuovo fronte aperto per il bilinguismo nelle scuole. “Purtroppo non si parla mai con le persone che davvero si occupano di questo quotidianamente. Chi ha insegnato all’interno di questi progetti”. Nel passato di Pugliese un ciclo intero all’interno di quelle che vengono definite classi bilingui. “Bisogna ragionare per unità didattiche ibride altrimenti si finisce per studiare la geografia in tedesco approfondendo l’Italia solo in tedesco. Un paradosso che un poco fa sorridere per le scuole italiane”. C’è, però, un contesto storico e culturale da affrontare. “Oltre all’articolo 19 che pone dei paletti molto precisi abbiamo delle prerogative storiche, culturali e autonomistiche completamente diverse dalla Valle d’Aosta o la Slovenia. L’impostazione qui è prima di tutto garantire ad una minoranza di lingua tedesca (che poi è una maggioranza) l’insegnamento nella propria madrelingua. È legittimo che il gruppo tedesco abbia la loro scuola e la proporzionale inizialmente aveva un senso per riequilibrare la questione etnica”. E oggi? “Oggi pare una stortura”. La risposta a questo ginepraio è stata trovata nel Clil. “Che poi non è Clil. Continuiamo ad usare parole tecniche ignorandone totalmente il significato. Il Clil si può fare sull’inglese ma non sul tedesco. Un progetto che potrebbe funzionare è solo quello capace di partire dal contesto culturale e linguistico utilizzando un linguaggio specifico e componendo delle unità didattiche dedicate e specifiche. Altrimenti proponiamo banalmente ore di convivenza che non permettono di portare a casa né la disciplina né la lingua”.
Ci sono, dunque, margini di miglioramento per l’efficienza della nostra scuola nelle lingue? “Sì ma non dimentichiamoci delle intelligenze. Qui pensiamo sempre che tutti gli studenti siano portati naturalmente all’apprendimento linguistico ma non è così. C’è chi ha quel tipo di abilità e chi no. La scuola deve tutelare pure chi ne è sprovvisto ed è più portato verso la disciplina (umanistica, scientifica e simili). Sarebbe sufficiente fare alcune sezioni dove insegnanti italiani e tedeschi lavorano insieme. Una scelta molto semplice che politici ed istituzioni ignorano totalmente. Aiuterebbe anche a risolvere il problema occupazionale dovuto a questi sbilanciamenti. Mi riferisco, per esempio, al drammatico vuoto delle graduatorie di L2 che si registra nelle scuole italiane con molti colleghi che scappano verso la scuola tedesca per evitare queste sperimentazioni attuali. Anche l’Università, infine, potrebbe fare la sua parte nel campo formativo. Ci sarebbero delle prospettive semplici, più efficaci e rispettose dell’impianto normativo che troppo spesso si dimentica”.