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GIORGIO MARINCOLA, IL PARTIGIANO NERO

24 Aprile 2022

GIORGIO MARINCOLA, IL PARTIGIANO NERO

“Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità,
andate lì, o giovani, col pensiero perchè lì è nata la nostra Costituzione”
(Piero Calamandrei)                                                                                                                                                       

In Valle di Fiemme, nel pomeriggio del 4 maggio 1945 – tre giorni dopo la resa dell’esercito tedesco in Italia – una formazione partigiana mostra l’alt ad una colonna di SS in ritirata. Le macchine e i camion portano tutti, a fianco della svastica, una bandiera bianca in segno di resa. Senza alcun motivo (così almeno pare) i soldati tedeschi aprono improvvisamente il fuoco. Due partigiani restano a terra uccisi sul colpo. Uno di questi, incredibilmente, è un ragazzo di colore.  

Il cadavere di Giorgio Marincola fotografato da Quirino March, inviato dal C.L.N. 
(Fondazione Museo Storico del Trentino)

Chi fosse quel giovane di 21 anni, colpito alle spalle quando l’Italia era già ufficialmente liberata, lo si seppe solo in seguito. Infatti, nella confusione del momento ci fu chi, all’inizio, parlò erroneamente di “una spia americana”, qualcun altro di un “medico sudafricano”. In più si era in montagna, in una regione ai confini con l’Austria, dove con molta probabilità mai fino ad allora si era visto da quelle parti un uomo dalla pelle nera e, dunque, qualsiasi congettura poteva allora essere plausibile.
Eppure quel ragazzo – appurerà in seguito il Comitato di Liberazione Nazionale – era cittadino italiano, cresciuto in Italia, era studente di medicina all’università di Roma e conosceva alla perfezione il dialetto romanesco.
Anni dopo, nell’archivio della sua famiglia, verrà trovata la lettera di un certo Vittorio, suo compagno d’armi, che ricordando quei giorni tremendi così scriveva: “Ormai tutti a Cavalese lo conoscevano, ormai tutti gli volevano bene, e quando la bara passò in mezzo al popolo silente, mentre nell’aria risuonavano i lenti rintocchi, non un ciglio rimase asciutto, mentre un fiotto di pianto sgorgò dagli occhi del sacerdote che ne benedì la salma. Vittorio – mi sembrasti sussurrare ancora come il dì della liberazione – noi non moriremo mai.”
Purtroppo, invece, nonostante quel suo entusiasmo di gioventù, Giorgio era morto nei pressi del paese di Stramentizzo senza quasi rendersene conto, colpito da una pallottola alla schiena.
Così – paradossalmente tre giorni dopo la firma della resa dei tedeschi in Italia –  usciva dalla scena della vita quello che sarebbe rimasto come l’unico e quasi sconosciuto partigiano di colore nelle vicende della Resistenza italiana.
Ma chi era Giorgio Marincola? Quale storia portava con sé? Da quanto appreso, sappiamo che era nato in Somalia il 23 settembre del 1923 in un villaggio a pochi chilometri da Mogadiscio. Il padre, Giuseppe, era un maresciallo di fanteria dell’esercito di occupazione italiano; la madre, della tribù berbera dei Cabila, aveva 21 anni e si chiamava Aschirò Hassan.

La madre di Giorgio, Aschirò Hassan

È da dire che in quegli anni, e fino al 1940, la discriminazione razziale non era ancora entrata nella società italiana per cui il riconoscimento del padre diede luogo di fatto alla cittadinanza italiana per il piccolo Giorgio. Due anni dopo, nel 1925, da quella convivenza “mista” nacque pure una bimba a cui venne dato il nome di Isabella, lo stesso della nonna paterna. Purtroppo, però, fra Giuseppe e Aschirò la storia d’amore era ormai giunta al termine. Infatti, durante una breve licenza, l’uomo aveva conosciuto a Napoli la sorella di un suo commilitone e se ne era innamorato.
Nei primi mesi del 1926 si consuma così il dramma familiare: Giuseppe lascia la Somalia e si porta via i due bambini. In giugno, poi, sposa Elvira Floris dalla quale negli anni successivi avrà altri due figli. Pare, comunque, che la partenza dei due piccoli fosse stata concordata con la madre, chissà con quale strazio, in quanto le usanze locali mai le avrebbero permesso di tenere con sé i figli, i quali sarebbero stati consegnati a un orfanotrofio della regione.

Giorgio e Isabella Marincola

Arrivati in Italia, i due fratellini vennero subito divisi: Isabella seguì il padre e la matrigna a Roma, Giorgio, invece, venne affidato allo zio paterno e a sua moglie che vivevano da soli a Pizzo Calabro. Da quanto ne sappiamo, loro crebbero il bambino con lo stesso amore che si dona a un figlio. Ricorderà, infatti, la sorella: “Era un piccolo reuccio, inoltre nel mare di Pizzo, Giorgio aveva imparato a nuotare bene, quasi meglio di un delfino.”
Nel 1933, alla morte dello zio Carmelo, Giorgio venne riportato dal padre, a Roma. Nella capitale, alcuni anni dopo, si iscriverà al regio liceo “Umberto I” ed è qui che conoscerà un personaggio determinante per la sua vita: Pilo Albertelli, un professore di storia e filosofia, una figura cristallina di antifascista dal quale apprenderà i valori della libertà e della democrazia. Albertelli nei primi anni ’40 sarà poi partigiano nelle file di Giustizia e Libertà. Verrà arrestato nel marzo del 1944 e alcuni giorni dopo troverà la morte, assieme ad altre 335 persone, nella strage delle Fosse Ardeatine.

Giorgio, studente universitario
di Medicina

Racconterà di quegli anni una compagna di liceo: “Giorgio era dolce, era una persona molto propensa a sentire e a capire gli altri. Ti ascoltava, ti dava consigli. Se poteva ti dava sempre una mano. Era una persona bellissima, un ragazzo intelligente, generoso e leale.”
Evidentemente furono proprio quelle sue qualità interiori, assieme allo sdegno per l’eccidio in cui era stato ucciso anche il suo mentore, a spingere Marincola nella primavera del ‘44 ad aggregarsi ad una squadra partigiana del Partito d’Azione operante nei dintorni di Viterbo. All’arrivo degli alleati, poi,  chiese di entrare nelle fila delle avanguardie britanniche e dopo un breve periodo di addestramento, col grado di tenente ricevette la consegna di farsi paracadutare in Lombardia, oltre le linee nemiche.

La Brigata partigiana “Giustizia e Libertà” di Biella.
Giorgio Marincola è il terzo da destra

Prima col nome di battaglia di “Mercurio”, poi con quello di Renato Marino (spesso, però, chiamato dai compagni “il Moro”), Giorgio si unì alle brigate di Giustizia e Libertà del biellese, ma nel gennaio del 1945 fu fatto prigioniero nel corso di un rastrellamento tedesco e portato a Villa Schneider, tristemente nota per essere la sede della polizia politica. Dal piano superiore della villa, trasmetteva una stazione radio chiamata “Radio Baita” creata dai tedeschi con la funzione di propaganda anti-partigiana. È da lì che pochi giorni dopo la sua cattura, Marincola venne costretto a parlare ai microfoni secondo quanto concordato con i nazi-fascisti. Se non che, alla domanda del perché lui, italo-somalo, stesse combattendo con gli inglesi, il ragazzo rispose coraggiosamente a modo suo: “Sento la parola patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto gli oppressori.” Immediatamente – secondo le testimonianze – si sentì un trambusto di percosse e la trasmissione fu subito interrotta. Il gesto in sé era molto grave, ma probabilmente fu grazie alla sua giovane età che Giorgio ebbe salva la vita.

Il “Polizeiliche Durchgangslager” di Bolzano

Secondo quanto riferito in seguito da altri partigiani, dopo essere stato trasferito nelle carceri “Le Nuove” di Torino, Marincola verso i primi di marzo venne nuovamente caricato su di un treno e destinato stavolta al campo di concentramento di Bolzano. Qui conobbe Vittorio, il quale dopo la guerra scriverà così alla sua famiglia:“Il nostro primo incontro avvenne in quell’inferno che era il campo di Bolzano. Diventammo subito amici e insieme dividevamo la monotonia d’una schiavitù che sembrava non dovesse più finire. Quanti sogni, quante speranze, quanti tristi pensieri nel Block C, tra la fame, le ingiurie, le percosse.”
Il 30 aprile del 1945, finalmente le porte si aprirono. Le SS, che fino a quel momento erano state il terrore del lager, fuggirono di nascosto durante la notte e così il campo di Bolzano, pochi giorni dopo, passò in carico dalla Croce Rossa Internazionale. La guerra, però, non era ancora finita. Giorgio Marincola che avrebbe avuto la possibilità di riparare nella vicina Svizzera, rifiutò il passaggio su di un camion e il 2 maggio decise, assieme all’amico Vittorio, di scendere verso sud per raggiungere gli alleati e la famiglia.

“Attenzione! Bande partigiane di giorno e di notte”

Giunti ad Ora – dopo appena 20 km – cambiarono però idea, decidendo di salire verso la Valle di Fiemme con l’evidente intenzione di unirsi ai gruppi partigiani molto attivi in quella zona, soprattutto fra Cavalese e Predazzo. Le motivazioni di quella decisione – che poi si rivelerà tragica – le scrive lo stesso Vittorio in un commosso memorandum. “Vittorio – mi dicesti – non ti sembra ignobile finirla così? Io ti guardai perplesso mentre disegnasti nell’aria la frusta che ci aveva martoriato per tanto tempo e che tanti compagni aveva ucciso. Un attimo, pochi secondi, ero pronto anch’io.”

Il paese di Stramentizzo in fiamme

E qui la cronaca ritorna all’inizio di questa nostra storia. Giorgio Marincola morirà, come sappiamo, il 4 maggio, ucciso a tradimento in una terra, il Trentino, che non conosceva e che non era la sua. Ma quel giorno e quello seguente, lui non sarà la sola vittima della furia tedesca. Infatti, nel piccolo paese di Stramentizzo le SS uccideranno ancora con brutale violenza 11 partigiani e 10 civili, dando poi fuoco alle povere case. Proseguendo poi la ritirata, a Molina massacreranno altre 6 persone. Nella tragedia immane, questa sarà per fortuna l’ultima strage dell’esercito tedesco sul suolo italiano.
La Germania cessò definitivamente le ostilità l’8 maggio quando a Stramentizzo ormai non rimaneva altro che l’odore acre dei legni combusti e il pianto sommesso sulle tombe dei morti.
Era bella la Valle di Fiemme in quel maggio del 1945! Era bella per il verde pastello dei larici e per il verde brillante dei prati. Bella per il sole, per i fiori colorati e per i caprioli che pascolavano tranquilli al limitare dei boschi. Bella, soprattutto, perché pochi giorni prima la guerra era finita. Ora si doveva iniziare a ricostruire e a vivere.
Il 4 maggio del 2005, a distanza di 60 anni, il giornale Alto Adige nel commemorare quell’evento tremendo, ricorderà la luminosa figura di Giorgio Marincola, poco più che ventenne, con questa dedica: “Partigiano con la pelle nera, morto per la libertà. L’Italia di allora lo dimenticò perché meticcio, l’Italia di oggi lo ricorda con riconoscenza.”