Complice anche l’industria cinematografica immaginiamo una corte imperiale come quella di Vienna come luogo di feste perpetue, dove al ritmo dei valzer di Strauss scorrevano fiumi di Champagne, e ostriche e caviale erano profusi a volontà. La realtà era alquanto diversa. L’imperatore Francesco Giuseppe e la sua consorte, la bella e sfortunata Elisabetta di Baviera detta “Sissi”, in materia di tavola e gastronomia avevano idee e abitudini abbastanza particolari. Francesco Giuseppe era stato educato con mano ferrea da sua madre Sofia e da una governante, la baronessa Sturm Sturmfeder, dove già il nome sembra essere tutto un programma. Gli erano stati imposti rigidi orari, tanto che per il pranzo non doveva impiegare più di mezz’oretta. Questa educazione spartana lo aveva portato a gusti spicci e semplici, così se si trovava solo, cenava, immancabilmente alle 17 in punto, facendosi apparecchiare addirittura sulla sua scrivania. Non amava la cucina francese che era approdata a Vienna già ai tempi di Maria Teresa (che aveva sposato un duca di Lorena) ma preferiva piatti semplici. È ben nota la sua predilezione per il lesso di manzo, in particolar modo il “Tafelspitz”, un taglio particolare che si faceva servire anche ripetute volte alla settimana, sempre accompagnato da patate saltate, gli immancabili spinaci tritati alla panna, e salsa alla cipollina. Altro piatto preferito il “Wiener Schnitzel”, la “milanese” portata da Radetzky a Vienna, sempre accompagnata da purea di patate. Un menù era composto da poche portate, quasi sempre zuppa, piatto di carne e dolce. La proverbiale parsimonia lo aveva portato persino a far mettere in tavola i cosiddetti “Verschnittweine”, cioè vini tagliati tra buoni e meno buoni che venivano poi prodotti in tre qualità, di cui la migliore era riservata alla tavola imperiale quotidiana. Certo non mancavano i pranzi di gala, con cucina francese e vini d’alta classe. Ma incredibili insidie pregiudicavano il piacere della tavola in queste occasioni. Gli architetti avevano costruito le cucine del palazzo al lato opposto dei saloni da pranzo, e questo obbligava i camerieri a trasportare i cibi in grandi cassoni metallici sino all’entrata dei saloni, dove venivano poi disposti sui vassoi di servizio. Il risultato era, specialmente d’inverno, che tutto arrivava in tavola freddo o quasi. E come se questo non bastasse alla corte viennese vigeva il rigido cerimoniale di corte spagnolo, che imponeva a tutti di terminare di mangiare appena l’imperatore, dopo ogni portata, posava le posate, ammesso che uno fosse riuscito a mangiare qualcosa. Dato il poco interesse del sovrano verso il cibo, un pranzo durò quindi una mezz’ora, una cena di 10 portate tre quarti d’ora. Si dice che una delle fortune dell’hotel “Sacher”, quello dove è stata inventata la famosa torta, sia stata quella di saziare con qualche fetta di quel dolce chi arrivava affamato dalla tavola imperiale. L’imperatrice aveva idee ancora più particolari. Odiava i pranzi ufficiali, durante i quali si limitava a qualche assaggio, ed era perennemente a dieta nutrendosi in prevalenza di frutta, dolci, latte e latticini. Della carne consumava il succo, che veniva estratto con una pressa simile a quelle che ancora oggi alla “Tour d’Argent” di Parigi usano per l’anatra. I due sovrani non andavano d’accordo sui cibi, avendo preferenze troppo diverse. Se lei amava il gelato alla violetta, egli in una lettera confidava che “il solo pensiero a quel ge- lato mi fa star male”. Elisabetta era ossessionata anche dalla freschezza dei cibi. Specialmente per il latte, che consuma in grande quantità: in tutte le escursioni, un boccale d’argento, in quanto appena intravista una mucca o una capra, l’imperatrice voleva assaggiare il latte. Faceva persino collezione di mucche, che acquistava nei suoi continui viaggi attraverso l’Europa, e faceva trasportare a Vienna dove nel castello di Schoenbrunn aveva fatto installare un allevamento, con grande stupore dei cortigiani. E nei viaggi per mare verso la sua villa di Corfù o verso Madera venivano sempre imbarcate una o due mucche per la quotidiana razione di latte fresco. Abbiamo visto che i sovrani erano due personaggi molto diversi in materia di gastronomia: lui attaccato alla tradizione e a quelle regole che aveva imparato da giovane, lei in “controtendenza”, come si direbbe oggi, ma comunque molto più normale di quanto l’iconografia ufficiale o cinematografica ci abbia fatto credere.