“Non sono in grado di stabilire il numero esatto di vite umane che si sarebbero potute salvare, ma sicuramente avremmo evitato tantissime ospedalizzazioni”. A parlare è il professor Piero Sestili, farmacologo, ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Docente di Farmacoterapia 1 e Chemioterapia alla facoltà di Farmacia, tiene inoltre corsi di farmacologia alla facoltà di Scienze Motorie e vanta 150 pubblicazioni internazionali, cinque delle quali proprio sul Covid solo nell’ultimo anno. Nel mese di aprile furono lui e altri sessanta professionisti dell’ambito scientifico e sanitario a inviare al Ministero della Salute una documentazione che sottolineava l’importanza comprovata di trattare precocemente il Covid con gli antiinfiammatori. E fu ancora lui ad avvertire il Ministero dell’inutilità e forse pericolosità del paracetamolo, nella cura della malattia.
I FATTI. “Nel marzo dello scorso anno gli ospedali di mezza Europa vennero presi d’assalto a causa della pandemia da coronavirus. Nel volgere di poco risultò evidente come il Covid fosse una malattia subdola e potenzialmente pericolosa, perché in grado di innescare un fortissimo processo infiammatorio a breve distanza dal contagio. La sensazione serpeggiante anche tra i miei colleghi era quella che ci si stesse affidando essenzialmente alle terapie intensive, piuttosto che ricorrere alle terapie domiciliari precoci. Mi era infatti sorto un dubbio: perché non trattare il Covid ai primi sintomi, attraverso un tempestivo approccio antiinfiammatorio?”. Queste le osservazioni del professore.
GLI APPELLI AL MINISTERO. “Scoprii che la dottoressa Roberta Ricciardi, di Pisa, aveva individuato nel cortisone un alleato importante per la cura contro il Covid”. Prosegue il docente: “Erano i primi di marzo. La contattai e decidemmo di esporre la problematica anche ad altri nostri colleghi, confidando che, in un breve lasso di tempo, sarebbero intervenute pure le autorità nazionali”. Così non è stato: le linee guida ufficiali confermavano che il paziente Covid dovesse rimanere in “vigile attesa”, a casa, assumendo semmai il paracetamolo (conosciuto con il nome commerciale di Tachipirina, ndr) per trattare gli stati febbrili eventualmente subentranti. “Convenimmo allora di redigere un documento, da trasmettere al Ministero della Salute”.
LA TERAPIA DOMICILIARE PRECOCE. I firmatari dell’appello furono sessanta: tra questi, una quarantina di medici, oltre a professori universitari e farmacisti. La dottoressa Ricciardi consegnò personalmente la missiva al deputato Emilio Carelli, il sottoscritto ad Alessia Morani, sottosegretario allo sviluppo economico, che la recapitarono fisicamente al Viceministro Sileri e al Ministro Speranza, rispettivamente. Indirizzammo contestualmente il documento a tutte le mail istituzionali del Ministero sollecitando a puntare sulle terapie precoci, con antiinfiammatori, sulla base delle esperienze maturate e degli studi compiuti da parte di tutti i firmatari del documento”. Tutto questo accadde il 24 aprile. Nella missiva inviata al Ministro Speranza si legge: “È ormai riconosciuto che il processo infiammatorio e la sua esasperazione, la cosiddetta tempesta di citochine, giocano un ruolo chiave nella patogenesi della forma più grave e spesso letale della COVID-19 che ha messo a durissima prova il SSN. È anche opinione consolidata che questa esagerata risposta dell’organismo sia il risultato di un accumulo di stimoli maturati nelle fasi precedenti della malattia e sempre riconducibili al contesto infiammatorio. Le fasi iniziali spesso sono caratterizzate da una sintomatologia da lieve a moderata cui può seguire un progressivo aumento dell’infiammazione anche polmonare, con possibile comparsa di polmonite interstiziale ed ipossia. Queste fasi coprono un periodo variabile da caso a caso e spesso purtroppo trascurato dal punto di vista delle opzioni terapeutiche. Secondo la nostra esperienza è invece proprio in queste fasi iniziali che andrebbe intrapreso il contenimento farmacologico dell’infiammazione per evitare che i suoi danni si accumulino, trascinando alcuni pazienti in quella grave condizione poi difficilmente rimediabile. Questo appello è quindi volto a richiamare la Sua attenzione sulla necessità di promuovere l’adozione tempestiva e precoce (all’inizio della sintomatologia respiratoria sospetta) rispetto all’odierna prassi, di una semplice terapia antinfiammatoria efficace come quella Cortisonica a medio o alto dosaggio associata, a giudizio del medico curante, a farmaci a probabile attività anti-SARS-CoV-2 come la Clorochina e all’Enoxaparina per prevenire le gravi complicazioni trombotiche come la C.I.D. Questa terapia, va sottolineato, potrà essere svolta in ambito domiciliare”. Nell’appello al Ministro si richiede inoltre di introdurre i cortisonici nelle linee guida: “Verso l’uso dei cortisonici nella COVID-19 permane purtroppo una diffusa diffidenza per il loro effetto immunosoppressivo. Tale diffidenza, secondo il nostro giudizio ed esperienza, è inappropriata dato che il grado di immunosoppressione, peraltro modesto per la breve durata della terapia, è pienamente compatibile con l’utilizzo nella COVID-19. Molti pazienti infatti sono in terapia cronica con cortisone per numerose patologie autoimmuni come la miastenia gravis, senza che si rilevino effetti immunosoppressivi limitanti. In questa situazione i cortisonici vanno somministrati solo per pochi giorni allo scopo di bloccare la possibile evoluzione nelle complicanze temute come la fibrosi polmonare e l’insufficienza respiratoria, che rappresentano purtroppo alcuni dei principali gravi rischi della COVID-19. La diffidenza verso i cortisonici andrebbe quindi superata analizzando con attenzione i grandi benefici che spesso questa classe di farmaci può invece dare anche nei casi disperati. Infine i cortisonici si prestano ad efficaci associazioni con altri farmaci antinfiammatori -che potrebbero essere anche somministrati addirittura dalla fase I- come i “mast cell stabilizers”, gli antileucotrienici, i COXIB, fornendo un pannello di opportunità ampio e modulabile. Riteniamo motivatamente che l’adozione e l’implementazione di questa strategia volta a contenere i sintomi anziché ad attenderne l’evoluzione, potrebbe favorire un significativo controllo della COVID-19 per un possibile più rapido, quanto auspicato, ritorno alla normalità sia dei soggetti colpiti che del Paese”. L’appello rimase lettera morta. “L’unico a rispondere fu il Viceministro Sileri, il quale manifestò apprezzamento per la nostra iniziativa, che promise di sottoporre all’attenzione di Aifa”, commenta Sestili. Ma non ci fu alcun seguito. “Quando a giugno uscì lo studio “Recovery”, che promosse il desametasone -cioè un cortisonico- quale unico farmaco salvavita contro il Covid, confidai che il nostro appello sarebbe stato finalmente recepito e volli comunicare al Ministero le mie perplessità sull’utilizzo del paracetamolo: è infatti risaputo che tale farmaco maschera ottimamente gli stati febbrili e i dolori, senza tuttavia curare l’infiammazione. La Tachipirina è definita un antiinfiammatorio ma, a differenza degli autentici antiinfiammatori, non ne possiede le proprietà. Dal Ministero non mi giunse mai risposta, se non si considera come tale la preghiera di pazientare, data la mole di lavoro delle cariche istituzionali”. Di fatto il malato Covid che assume paracetamolo può solo aggravare il problema: “Quando la malattia è più aggressiva, infatti, il soggetto ha la sensazione di migliorare, mentre in realtà la patologia progredisce. Va poi considerato un altro aspetto: il paracetamolo favorisce la diminuzione di glutatione, potente antiossidante endogeno, ed è noto che le sindromi respiratorie (concetto che si può estendere al Covid) peggiorano quando il livello di glutatione si abbassa. Inoltre un uso eccessivo e prolungato di paracetamolo può indurre danni epatici seri. In poche parole: si stava compiendo un autentico disastro sanitario”. Anche questa segnalazione si perse tra Ministero ed Aifa.
LA TEMPESTIVITÀ E IL PROTOCOLLO REMUZZI/SUTER. A fine novembre i professori Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter e altri medici pubblicarono un documento, nel quale si ribadiva l’importanza di aggredire il Covid con gli antiinfiammatori e ai primi sintomi, addirittura prima di conoscere l’esito del tampone. “Remuzzi era giunto alle nostre stesse conclusioni”, sottolinea Sestili. “Nel suo protocollo egli si soffermava sulla necessità di somministrare nimesulide (farmaco antiinfiammatorio noto con il nome commerciale di Aulin, ndr) e cortisonici. Si rimarcava, per l’ennesima volta, l’imperativo di aggredire la malattia precocemente. Nel gruppo Facebook “Pillole di ottimismo” del professor Guido Silvestri dove mi occupo della sezione “farmaci”, sto tenendo in questi giorni una serie di webinar, indirizzati ai medici, riguardanti le terapie domiciliari tempestive. Nell’iniziativa ho coinvolto anche il dottor Guido Sampaolo, medico di famiglia di Osimo, attivo sul territorio, il collega Aldo Manzin dell’Università di Cagliari e molti altri. Purtroppo stiamo riscontrando che, ancora oggi, la confusione regna sovrana e che parecchi medici di base curano il Covid senza indicazioni precise. Ricordo, a chi non l’avesse capito, che i malati Covid che finiscono in ospedale perché si aggravano, potrebbero non tornare più a casa”.
UN FARMACO DISCUSSO: L’IDROSSICLOROCHINA. “Il dibattito sull’idrossiclorochina fa il paio con quello sulla Tachipirina. Entrambi i farmaci erano stati caldeggiati da due scienziati di Marsiglia: Raoult e Micallef. Lo studio di Micallef si basava sulla teoria secondo cui le persone affette da influenza peggioravano se trattate con ibuprofene e altri antiinfiammatori: tale lavoro, pubblicato anni prima, non riscosse grande successo in ambito scientifico, tuttavia vi si fece riferimento quando scoppiò la pandemia di coronavirus. L’idrossiclorochina fu invece introdotta, nella lotta anti-Covid, dal Prof. Raoult, che la descrisse come efficacissima. Entrambe le indicazioni vennero fatte proprie dal Ministro e medico francese Olivier Véron e, data l’autorevolezza del parere, vennero immediatamente e acriticamente accettate in tutta Europa. Il paracetamolo venne subito inserito nel protocollo di Aifa e ci rimane ancora oggi; l’idrossiclorochina fu dapprima accolta e successivamente ritirata, poiché studi posteriori ne sostennero l’inefficacia. Oggi è prescritta, in modalità off-label, da quei medici che in base alla loro esperienza la considerano efficace specie quando il farmaco è somministrato a poche ore di distanza dal contagio (da precisare che nel mese di dicembre la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha “riabilitato” il farmaco, ndr)”.
L’AUSPICIO PER IL FUTURO. Secondo il prof. Sestili “abbiamo assistito a una gestione irrazionale della pandemia. La conoscenza medica è stata ignorata, quasi che i vari esperti non si siano preoccupati di rammentare i più elementari testi di farmacologia”. Da più parti si sostiene che, per contrastare il Covid, siano utili pure determinati integratori, quali le vitamine C e D, oltre alla lattoferrina. Così il prof. Sestili: “Prima della pandemia non c’era giorno in cui, accendendo la tv, non si parlasse dell’importanza di numerosi integratori, da utilizzare persino nella prevenzione di patologie gravi, quali quelle tumorali. I benefici delle vitamine C e D sono noti a tutti. C’è poi chi afferma che la vitamina D vada somministrata solo agli abitanti dei Paesi nordici, dove il sole è carente: per quale motivo non potrebbe essere assunta dagli anziani delle Rsa, che, stando quasi sempre al chiuso, non si espongono praticamente mai al sole? Della lattoferrina si sono perse le tracce. All’inizio della pandemia ci si è dimenticati completamente di consultare la letteratura: tutto ciò che era stato approfondito prima del Covid è scivolato improvvisamente nel dimenticatoio”. L’auspicio del professore: “I vertici Aifa sono ora cambiati. Il neo-presidente Palù si è pronunciato sulla necessità di puntare sulle terapie domiciliari e di abbandonare la somministrazione della Tachipirina, che ha definito inutile e dannosa, proprio come sostenuto da noi. Il Ministero era stato messo al corrente della situazione: purtroppo il periodo sine cura ha ostacolato inevitabilmente anche lo studio sugli anticorpi monoclonali, introdotti ora ma con notevoli ritardi. Adesso mi auguro che le cose cambino e che il Prof. Palù, accademico di altissimo profilo, continui a lavorare senza lasciarsi fagocitare dagli anticorpi degli apparati burocratici. Va evidenziato che l’Italia potrebbe disporre di consulenti di chiara fama, quali Luciano Gattinoni e Guido Silvestri”. La pandemia di coronavirus ha causato, in Italia, oltre 90 mila morti, ha prodotto una crisi economica senza precedenti e disagi infiniti: un altro auspicio è che non si ignorino responsabilità e inadempienze.