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Libertà e responsabilità ai tempi del Covid

13 Novembre 2020

Libertà e responsabilità ai tempi del Covid

Dura la vita da reclusi. Che si tratti di misure straordinarie giustificate dall’attuale pandemia o di misure cautelari disposte da un giudice, la privazione della libertà personale rappresenta comunque uno shock, che può assumere i contorni di una tragedia. Per rendersene conto è sufficiente osservare il comportamento degli animali in cattività oppure la condizione dei detenuti, segnata spesso dall’insorgenza di disturbi psichici gravi, rilevabili nei sistemi penitenziari di tutto il mondo. Nell’estate del 1971 il professor Philip Zimbardo condusse uno degli esperimenti psicologici più inquietanti, controversi e criticati di sempre, finalizzato a verificare il comportamento umano in una società in cui gli individui siano definiti soltanto dal gruppo di appartenenza: fu l’esperimento della prigione di Stanford. La ricerca prevedeva la partecipazione di due gruppi di volontari, ai quali erano stati assegnati rispettivamente i ruoli di “guardie” e “prigionieri”, all’interno di un carcere simulato. Benché l’attendibilità dello studio sia stata successivamente posta in discussione, Zimbardo riprese la teoria di Gustave Le Bon sulla deindividuazione, ovvero sulla perdita di autoconsapevolezza e di autocontrollo che insorge nelle situazioni in cui l’individuo agisce all’interno di specifiche dinamiche sociali e di gruppo. L’esperimento venne tuttavia interrotto anzitempo. L’”effetto lucifero”, termine coniato in seguito dallo stesso Zimbardo, determinò infatti conseguenze drammatiche: le “guardie” si trasformarono in veri e propri aguzzini e la situazione sfociò in episodi di violenza. Dopo alcuni giorni, i “detenuti” mostrarono sintomi di disgregazione individuale e collettiva, a tal punto che il loro comportamento divenne docile e remissivo. La lunga digressione sull’esperimento di Stanford è utile a far scaturire una riflessione sui concetti di libertà (diritto garantito costituzionalmente) e responsabilità. La pandemia che imperversa attualmente è divenuto l’argomento principe della modernità e si connette alla mancanza di certezze della scienza. Le posizioni continuamente contrapposte e conflittuali tra gli scienziati sulle terapie, le contraddizioni sulle misure di contenimento, l’assenza di uniformità delle stesse, volte a contrastare la diffusione del coronavirus, alimentano il senso di disorientamento e di frustrazione dei cittadini. È inconcepibile, nonché privo di evidenze scientifiche, il fatto che a un bolzanino si vieti di passeggiare a una distanza superiore ai 1000 metri dalla propria abitazione, mentre a un runner è consentito di correre in lungo e in largo nel territorio comunale. È sconcertante che nell’evolutissima Zurigo (città con un elevato numero di contagiati) le scuole e i negozi siano aperti, le persone possano circolare normalmente, semplicemente rispettando i noti accorgimenti prudenziali, mentre nella maggior parte delle città italiane vigono forti limitazioni alle libertà personali e vengono devitalizzate le attività economiche. È immediato considerare il colossale flop dell’infinito lockdown argentino, che tuttavia i “puristi” giustificano sostenendo che non si sarebbe svolto secondo i dovuti crismi: in realtà il virus non ha mai smesso di ballare il tango, mentre la popolazione è stata ridotta alla fame. Si prendono misure restrittive basandosi esclusivamente sui modelli predittivi, che però non sono suffragati da leggi scientifiche: “Nel dubbio, però, chiudo”, diventa l’assunto, senza che si conoscano i termini della manovra e gli effetti successivi. Ancora: dove sussiste la dimostrazione scientifica del rapporto di causalità tra l’esposizione al rischio Covid e il limite dei 1000 metri per la passeggiata? Quali leggi scientifiche dimostrerebbero che la camminata di 1500 metri del signor Rossi rappresenti un pericolo per la collettività? Ugualmente, quali altre dimostrerebbero che il cenone di Natale della famiglia Rossi si tramuti in un’eccezionale fonte di contagio? “Nel dubbio, però, vieto”, si replica. Evidentemente non si vuole riconoscere che respirare all’aria aperta e muoversi individualmente non costituiscono pericolo e anzi fortificano l’organismo. Piuttosto è scorretto non rispettare le distanze di sicurezza e non indossare dispositivi di protezione sterili e certificati. Invece i provvedimenti imposti non rispecchiano leggi scientifiche, ma si fanno scudo di statistiche, che non comprovano il nesso di causalità che intercorre tra il singolo individuo in quanto tale e la diffusione del virus. Certo non si può trascurare l’altro concetto, strettamente intrecciato a quello di libertà: il senso di responsabilità. Questo chiama in causa l’opinione diffusa che l’aumento dei contagi sia riconducibile solo al comportamento scellerato di alcuni cittadini. Sui social gli haters si scatenano e sono sempre pronti a colpevolizzare, umiliare e denigrare chiunque si discosti da quella opinione. Trovare il capro espiatorio è infine diventato lo sport di massa preferito: una volta si chiamava “caccia alle streghe o agli untori”. Poco importa se, da fonti istituzionali, risulti che la maggioranza degli Italiani si comporti correttamente. Inoltre l’utente social non ama distinguere la responsabilità del singolo da quella collettiva: “Per colpa di pochi ci rimetteranno tutti. C’è una pandemia, troppi irresponsabili in giro: bisogna chiudere”, si legge. Lottare contro un nemico invisibile è arduo e non può essere solo prerogativa del cittadino, anzi. Quando scoppia un incendio di vaste proporzioni, prima di impugnare gli estintori, i vigili del fuoco cercano di proteggersi nel modo più efficace possibile. Sono emblematiche le ultime dichiarazioni del prof. Anthony Fauci, fervido sostenitore della linea dura nell’era Trump. Adesso, invece: “In Usa lockdown non necessario con uso corretto della mascherina”. Ciò avvalora la tesi secondo la quale, rispettando il distanziamento e indossando i dispositivi di protezione, è possibile difendersi dal coronavirus, evitando misure di dubbia utilità, in ogni caso distruttive per l’economia e per la psicologia delle persone. L’Alto Adige ha optato invece per una linea aggressiva, con la decisione di mappare in un weekend circa 2/3 della popolazione, mediante il test rapido antigenico (si tratta della prima operazione del genere in Italia). “Soldi buttati”, ha sentenziato il prof. Andrea Crisanti, secondo il quale le modalità e la tipologia dello screening sarebbero inefficaci. Al di là della validità o meno dell’antigenico (materia di discussione tra gli stessi scienziati) è lecito porsi i seguenti interrogativi: la macchina organizzativa attuale sarà in grado di assorbire le conseguenze di uno screening così imponente? Quante persone (sanitari compresi) finiranno contemporaneamente in quarantena? Ipotizzando un numero elevatissimo di positivi costretti a rimanere a casa, chi garantirà i servizi essenziali alla popolazione? In quanto tempo verranno espletati gli ulteriori esami a coloro i quali risulteranno positivi? Quali saranno i benefici di questo screening nel medio/lungo periodo, considerato comunque che un terzo degli altoatesini non sarà testato e che l’Alto Adige, benché “isola felice”, non vive tuttavia sotto una campana di vetro, bensì di turismo e di costanti scambi commerciali con l’estero e con le altre Regioni italiane? Il rischio che lo screening più importante d’Italia si riduca a un costosissimo gioco di numeri, statistiche e probabilità è enorme. Nel frattempo, mentre un team di circa 800 operatori sanitari si prepara alla “mission impossible”, il cittadino comune continua a districarsi tra quarantene infinite, assistenza domiciliare carente (se non addirittura assente), un futuro professionale incerto, i mille problemi della vita quotidiana, con il rischio di precipitare in un equilibrio psichico sempre più precario e con la minaccia non solo di ammalarsi di Covid, ma di rimanere in balia della sorte, in presenza di eventuali, gravissime patologie, di cui il servizio sanitario attualmente non si occupa, né dal punto di vista diagnostico, né dal punto di vista terapeutico, perché interamente assorbito dall’emergenza coronavirus.