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Con Bergoglio per la costruzione di una società unita

28 Ottobre 2020

Con Bergoglio per la costruzione di una società unita

Oggi tutti parlano di diritti e poco dei doveri. Il dovere, quale insieme di compiti e obblighi civili indica ciò che si deve costituire in una società aperta e racchiude in sé un rapporto diretto tra le persone. I diritti devono servire non solo per perseguire il mero interesse personale ma occorre che siano volti a favorire il progresso generale. Si constata invece che la società oggi vive in una condizione di incertezza, di disagio, di supremazia, di umiliazione nella quale il ricco, nei casi migliori, elargisce la carità al povero.
Provo grande ammirazione per Jorge Mario Bergoglio. Nel pieno del dramma del Covid 19 – in un momento difficile della storia umana – la sua Enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale” è una “voce straordinaria”. Tanti gli apprezzamenti, le considerazioni, le valutazioni, sia in ambito ecclesiale, sia in quello sociale e politico.
Ho letto l’Enciclica indirizzata all’intera umanità e confesso che non è stato semplice o facile l’approccio a causa della profondità degli argomenti.
Il suo evangelismo – quello di Francesco – presenta all’umanità un testo di etica e di principi fondamentali per il genere umano e penso che l’esigenza di una utile riflessione abbia ragion d’essere.
Nella sua grande ricchezza di contenuti si evidenziano diversi temi importanti. Tra questi il pericolo della globalizzazione o quello dell’uso di termini quali democrazia, libertà, giustizia utilizzati come espedienti per l’egemonia e il dominio personale. In particolare è importante il passaggio verso il populismo quando “l’abilità” del politico opera e attrae consenso per favorire il suo personale vantaggio.
L’Enciclica non considera la fraternità uno strumento o un auspicio, ma rende evidente – con l’intestazione “Fratelli tutti”- la cultura e l’essenza da applicare nel quotidiano, ossia pone il dialogo quale valore e principale ragione degli uomini.
“Per l’umanità la fame non è solo una tragedia, ma una vergogna”. Così ha dichiarato Papa Francesco in occasione del recente 75° anniversario della Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e che “tutti siamo responsabili se tonnellate di cibo sono buttate via a danno dei poveri” e non c’è alibi per nessuno se i ricchi si arricchiscono sempre più. Mi viene in mente quel balcone su cui fu annunciata l’abolizione della povertà. Era il 27 settembre 2018 quando un gruppo di ministri del Movimento Cinque Stelle, capitanato dall’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio, affacciandosi da un balcone di Palazzo Chigi a Roma, comunicava l’abolizione della povertà. È stata una bravata.
Certo il Pontefice non è contrario alla visione del profitto; è invece contrario al profitto che dimentica l’uomo e lo riduce a cosa tra le cose e allora la nuova visione. Perché non ripensare il nostro sistema economico finanziario e mettere al centro l’uomo e non il denaro?  In altri termini Francesco si rivolge all’attuale regime dell’economia per segnalare che “non è più il tempo degli adoratori della finanza ma dell’economia reale fondata sulla persona” e che “la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia se afferma il ridimensionamento del diritto assoluto della proprietà privata”. Bergoglio si guadagna la fama di eretico, di comunista e di autore dell’Enciclica contro l’occidente cristiano. Non è così perché l’affermazione del Papa è che il diritto alla proprietà privata non deve essere riconosciuto come assoluto o intoccabile ma va subordinato “alla destinazione universale dei beni della terra e, pertanto, al diritto di tutti al loro uso”.
Il Pontefice è dalla parte dei poveri, mostra che “è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter soddisfare non solo i suoi bisogni primari e quelli della famiglia ma anche realizzarsi come persona” e aggiunge che gli immigrati devono essere aiutati a integrarsi, perché sono una benedizione, una ricchezza e un nuovo dono”. Se è vero che l’Enciclica dedica poco all’aborto “ma che dire della condanna alla pena di morte, alla guerra anche se giusta, al razzismo, alla difesa della libertà di movimento per i migranti, all’ergastolo quale pena di morte nascosta”?
Nel richiamarmi alla ventata del pensiero critico non è difficile constatare che, dopo la pubblicazione dell’Enciclica, una vera offensiva si è scatenata nei riguardi del Pontefice ritenuto fautore del Comunismo e dell’abolizione della proprietà privata. È così? Papa Francesco ha rivoluzionato la Chiesa cattolica? È una delle domande del momento. L’Enciclica è un inno al Comunismo? L’accusa: “Dio ci protegga dal Comunismo papale”.
Perché tale giudizio dai toni e argomentazioni a dir poco inusuali? Perché non riconoscere a Francesco la sua impronta papale e le sue parole da gesuita e da profeta? Come non accettare l’invito ad «abbracciare il mondo» o “agire insieme”?
È vero che nella Chiesa cattolica stanno aumentando di intensità due forze diametralmente opposte ossia gli innovatori come Francesco, e chi invece chiede di tornare alla ‘sana tradizione’ e quindi si potrebbe continuare a lungo, molto a lungo nella speranza che l’Enciclica diffusa nel giorno di San Francesco dal gesuita Pontefice che ne porta il nome possa restare la vera tappa cruciale per reimpostare la rotta della vita umana non da soli ma con la Chiesa vicina.

Foto, Papa Francesco – dipinto di Claudio Calabrese