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Ma perché mai scrivere su un vacuo oggetto di lusso?

31 Agosto 2020

Ma perché mai scrivere su un vacuo oggetto di lusso?

Per diversi motivi; si tratta al contempo di una icona della bellezza, dello stile e della opulenza come nessuna altra, di un concentrato di vanità ed inutilità incredibile, di una meraviglia dell’artigianato. E se ancora non bastasse, la sua storia è strettamente intrecciata, anzi racconta, la storia della Russia. Attraverso questi oggetti pregiatissimi è possibile interpretare un’epoca. Su queste famose uova ed altri accessori si è scritto e si trova di tutto: cataloghi lussuosissimi, ampie collezioni, biografie e considerazioni di stile, una miriade di espressioni di gusto, vendite all’asta con prezzi strabilianti. Proprio per questo tralascio tutto ciò che è facilmente reperibile sul Web per darne invece una lettura personale.
Cominciamo dal nome e dalla forma. “È l’uovo di Colombo” è la nota espressione attribuita all’esploratore genovese ma l’uovo è anche la forma primordiale degli esseri viventi; quel guscio racchiude anche il mistero della incubazione, della nascita, della intera esistenza. Quella forma perfetta è anche il risultato della ‘tensigrità’, cioè di forze che si dispongono secondo leggi della natura (per ugualmente ripartiti sforzi di tensione) a definire un volume che è minimo per quella superficie. Una perfezione geometrica e matematica.
Per essere precisi dovrebbe essere la sfera ad esprimere tutto questo: il luogo dei punti dello spazio equidistanti da un centro; ma se si pensa ad una sfera che viene costretta nel valicare un condotto, si ottiene la forma allungata dell’uovo. La stessa sorte delle gocce d’acqua e delle forme aerodinamiche. Si potrebbe forse dire che una sfera tende alla forma a uovo quando diventa elemento dinamico.
Una impareggiabile lezione di design e funzionalità che ci viene impartita dalla natura. Ma l’uovo è anche l’autarchia vivente; contiene tutto quanto serve al nuovo individuo fino alla nascita. Protezione, calore, nutrimento. Negli ovipari ovviamente, ma anche nei mammiferi si parla di uovo, anche se non ha le stesse dimensioni né il guscio calcareo.
Ma non è qualcosa di impenetrabile, una barriera totale, conserva una sua capacità di farsi attraversare con la porosità della struttura avvolgente. Quindi possiamo pensare all’uovo come la forma primordiale ed anche attuale della vita. L’uovo è resistentissimo per forma; diversi giochi didattico-scientifici sfruttano questa caratteristica resistenza dovuta alla curvatura variabile. Se poi l’uovo è realizzato con il metallo più raro e prezioso, l’oro, e porta incastonati quei prodigi minerali che sono diamanti ed altre pietre preziose, abbiamo concentrato in un piccolo oggetto un mirabile coacervo di elementi, tutti eccezionali e di primissimo livello. Non so se Fabergè fosse cosciente di queste considerazioni, probabilmente no; il risultato venne così spontaneo, per talento e sensibilità non consce.
Però, malgrado tutte le considerazioni anzidette, le uova di Fabergè rimangono un oggetto del tutto privo di utilità pratica, pura autocelebrazione dei gran ricchi e come regalo sontuoso. È ora è solo un oggetto frivolo? Un insulto alla miseria? Un che di totalmente fuori luogo e fuori dal tempo in un periodo di crisi come il nostro? Forse sì, ma il suo fascino resta immutato, bisogna riconoscerlo. Io non possiederò mai un uovo Fabergè, probabilmente neanche voi, ma resta un simbolo imperituro da ammirare.
L’uovo è cibo pregiato, fa parte di quasi tutte le alimentazioni, è fonte di proteine alternative alla carne di elevata qualità, è comune sulle nostre tavole e nelle nostre case; forse è per questo che non ci fermiamo a riflettere sul suo profondo significato simbolico che è radicato in tutte le culture e in tutte le epoche. È innanzi tutto simbolo di fecondità, della vita eterna che si rinnova, ed è raffigurato in molte opere d’arte.
Nella pittura un uovo posto in mano alla Madonna o a Maria Maddalena assume degli aspetti simbolici del tutto particolari che sono poi confluiti simbolicamente in tutta la tradizione associata alla festa della Pasqua. Invece non viene certo da pensare che la figura dell’Uovo sia frequentemente associata a quella del Serpente, un archetipo universale che rappresenta, in estrema sintesi, le forze cosmiche della Natura e la rigenerazione per mezzo di esse. Le analogie sono evidenti.
Il pulcino che nascerà dall’uovo fecondato ne uscirà al momento opportuno, dopo averne frantumato il guscio dall’interno. È il primo atto del nuovo essere vivente, una sorta di big-bang delle specie animali. È associato anche al genere femminile, perché è la donna a produrre l’ovulo che darà origine alla nuova vita. Nelle dottrine metafisiche dell’induismo Brahma si racchiude nell’Uovo del Mondo (Brahmanda) e forma il germe primor diale della vita cosmica, chiamato “Hiranyagarbha”, un nome che letteralmente significa “Germe d’oro”.  Ma anche in alcuni racconti del buddhismo in origine c’era un uovo vuoto che successivamente si è riempito e si è sviluppato in seguito all’azione di un soffio creativo dello Spirito. Nel mito polinesiano l’origine vive in una noce di cocco cosmica: si tratta di un adattamento locale ma si nota che anche la noce di cocco ha in realtà la forma di un uovo. L’idea dell’Uovo come origine del cosmo è anche alla base della cosmogonia dei Misteri Orfici. Di richiami nelle simbologie di tutto il mondo se ne potrebbero fare molti ma quello che appare costante è il senso profondo dell’uovo come sorgente di vita.
A commemorazione del mito di Leda a Sparta si venerava il guscio spezzato di un uovo gigante, appeso con un filo sulla volta, che si riteneva essere l’uovo fatto da Leda. Questo tema verrà ripreso durante il Rinascimento dal pittore Piero della Francesca, che immortalerà l’uovo nella sua famosa “Pala di Brera”.
Nell’ambito della simbolistica cristiana, l’uovo è stato adottato soprattutto in relazione alla sua connessione con l’idea della nascita ad una nuova vita, ovvero alla resurrezione. In questa accezione, dunque, sono da interpretare le varie figure di Madonne con Bambino che reggono in mano un uovo. Il dipinto di Piero della Francesca mostra la Madonna con il Bambino addormentato in grembo, circondata da una schiera di Santi. Davanti a lei, inginocchiato in adorazione, è ritratto Federico da Montefeltro, committente dell’opera. Sullo sfondo, la nicchia semicircolare è sovrastata da una semicupola a forma di conchiglia, al centro della quale è appeso un uovo di struzzo. La conchiglia, che ricorda la nascita di Venere (celebre, ad esempio, quella di Botticelli), rappresenta qui la nuova Venere, Maria, simbolo di bellezza eterna ma anche della natura generatrice della Vergine (la conchiglia è anche il simbolo della conoscenza esoterica, vista come la perla preziosa che si nasconde al suo interno, e la troviamo ovunque nelle chiese, celata, ad esempio, nelle forme delle absidi oppure nelle acquasantiere. La conchiglia è anche il simbolo del pellegrinaggio a Santiago di Compostela.
L’uso di regalare uova per celebrare l’inizio della primavera è molto antico, e risale a molto tempo prima del Cristianesimo: era un’usanza già diffusa presso gli antichi Persiani, e poi utilizzata anche dai Cinesi, dagli Egizi e dai Greci. I Romani usavano colorare le uova di rosso e sotterrarle nei campi, per propiziarsi la fertilità e l’abbondanza del raccolto. Con l’avvento del Cristianesimo, l’idea ancestrale del guscio in cui risiede il germe della vita è passato a significare il sepolcro dal quale Cristo è risorto, quindi non solo la rinascita della Natura ma dell’uomo stesso e di Cristo. Visto che comunque la data della Pasqua cade attorno all’inizio della Primavera, tutto il simbolismo associato alle uova venne, dopo l’avvento del Cristianesimo, spostato nella simbologia e nei riti legati a questa festività. Sembra che l’usanza di regalare uova per Pasqua risalga al 1176, quando il capo dell’Abbazia di St. Germain-des-Près donò a re Luigi VII, appena rientrato a Parigi dalla II Crociata, una gran quantità di prodotti provenienti dalle sue terre, tra cui un ingente quantitativo di uova.
Sempre nel Medioevo si diffuse anche l’abitudine di colorare o decorare le uova; è noto, ad esempio, dai libri contabili del re Edoardo I d’Inghilterra la commissione di 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare in occasione della Pasqua. Il coniglio, così come la lepre, è da sempre, a causa della proverbiale fertilità e prolificità nel riprodursi, un simbolo di fecondità e pertanto la sua figura ben si sposa con quella dell’uovo, che ha un significato analogo. Il cesto pieno di uova colorate non è altro che una metafora del grembo della Madre Terra che genera i suoi frutti all’inizio della Primavera, cioè all’Equinozio, quando le durate del giorno e della notte sono esattamente le stesse e quindi c’è perfetto equilibrio tra le due forze, luce e tenebre, bene e male, maschile e femminile, Yin e Yang.
L’uovo rosso è il simbolo della “Stirpe Reale”. Per evitare tali “inappropriati” riferimenti, la Chiesa decretò che nelle rappresentazioni iconografiche della Vergine, si adottasse il colore azzurro per il suo manto, mentre il rosso e il blu rimasero distintivi di Cristo e della Maddalena, in maniera complementare. Ecco perché la discendenza nobiliare viene detta “sangue blu”, mentre il colore naturale del sangue è il rosso.
Veniamo ora brevemente alla storia dell’uovo-gioiello. La Maison Fabergè è ancora oggi la storica casa di gioielleria russa fondata nel 1842 da Gustav Fabergè. Curioso notare che l’accento finale fu un tentativo di dare al nome un’intonazione francese, per attirare la nobiltà russa che amava la cultura di quel Paese. La Fabergé conobbe un notevole successo, che aumentò ulteriormente quando, nel 1872, lo zar Alessandro III commissionò a Peter Carl, figlio di Gustav, di produrre delle uova di Pasqua preziose. La Fabergè produsse le prime cinquanta uova pregiate. La produzione di tali pregevoli uova continuò per ben trenta anni, e Peter Carl fu nominato gioielliere di corte. Il successo delle uova fu tale in tutta Europa che all’inizio del Novecento fu aperta una filiale a Londra, mentre le sedi in Russia aumentarono a quattro, con oltre 500 lavoratori. Tuttavia negli anni della Rivoluzione d’ottobre, gli appartenenti alla famiglia Fabergè dovettero lasciare la Russia, in seguito all’uccisione dello zar Nicola II (successore di Alessandro III) e dell’intera famiglia imperiale. Carl Fabergè, figlio di Gustav ed ultimo dirigente dell’azienda di famiglia, morì a Losanna nel 1920 ed è sepolto a Cannes.
Con lo scoppio della Rivoluzione d’ottobre, la direzione della compagnia venne affidata al Comitato degli Impiegati della Compagnia C. Fabergè. Nel 1918, la Casa Fabergè venne nazionalizzata dai bolscevichi e tutti i pezzi, presenti in magazzino, vennero confiscati. Dopo la nazionalizzazione del lavoro della fabbrica, Carl Fabergè lasciò San Pietroburgo, con un treno diplomatico, verso Riga. A metà novembre, la rivoluzione aveva già raggiunto la Lituania e, nuovamente, Carl si spostò in Germania, insediandosi dapprima a Bad Homburg e poi a Wiesbaden. Eugène, il figlio primogenito di Carlo, riuscì a fuggire con la madre in Finlandia, ove giunse a piedi, nel dicembre del 1918. Durante il giugno del 1920, Eugène raggiunse Wiesbaden, ricongiungendosi al genitore ed accompagnando il padre in Svizzera, ove prese rifugio, con la famiglia, al Bellevue Hotel, a Pully presso Losanna. Peter Carl Fabergè non si riprese mai dallo shock della Rivoluzione russa e morì, in Svizzera, il 24 settembre 1920.
I figli di Carl, Eugène e Alexander nel 1924 fondarono a Parigi la Fabergè & Cie, per la produzione di gioielli, oltre che per restaurare degli oggetti appartenuti alla Maison Fabergè. Non raggiunse mai però i fasti della Maison Fabergè e terminò l’attività nel 1940. Nel 1917 la rivoluzione russa rovesciò il potere dello zar e il nuovo governo russo confiscò moltissime proprietà, tra cui fabbrica, manufatti e disegni di Carl Fabergè. Dopo il comunismo, l’antica fabbrica di famiglia Alfaberge, situata a San Pietroburgo, poté ricominciare la produzione delle preziose uova, partendo proprio dai disegni originali del nonno Carl.  Nel 1992, al collasso dell’Unione Sovietica, un generale russo, Nikolay Shaidullin, acquistò la fabbrica Alfaberge, a San Pietroburgo. Pensò a buona ragione che dovesse esserci un enorme valore nei disegni di Fabergè. Inviò i suoi uomini alla ricerca dei disegni originali di Carl Fabergè seppelliti negli archivi di stato, trovandoli ha così ridato vita ai prodotti tanto acclamati dalla nobiltà Europea. Questi disegni sono stati validati come originali dall’esperto russo Valentine Skurlov, incaricato dal ministero della cultura ed estimatore per Christies.
Le Uova Fabergè furono una realizzazione di gioielleria ideata presso la corte dello zar di tutte le Russie ad opera di Peter Carl Fabergè, della omonima compagnia. Fra il 1885 e il 1917 furono realizzate ben 52 di queste uova di Pasqua in oro, preziosi e materiali pregiati, ogni anno all’approssimarsi della festività. Fabergé e i suoi orafi hanno progettato e costruito il primo uovo nel 1885. L’uovo fu commissionato dallo zar Alessandro III di Russia, come sorpresa di Pasqua per la moglie Maria Fyodorovna. L’uovo, di colore bianco con smalto opaco, aveva una struttura a scatole cinesi o a matrioske russe: all’interno vi era un tuorlo tutto d’oro, contenente a sua volta una gallinella colorata d’oro e smalti con gli occhi di rubino. Quest’ultima racchiudeva una copia in miniatura della corona imperiale contenente un piccolo rubino a forma d’uovo.
La zarina fu così contenta di questo regalo che Fabergè fu nominato da Alessandro “gioielliere di corte”, e fu incaricato di fare un regalo di Pasqua ogni anno da quel momento in poi, con la condizione che ogni uovo doveva essere unico e doveva contenere una sorpresa. A partire dal 1895, anno in cui morì Alessandro III e salì al trono il figlio Nicola II vennero prodotte due uova ogni anno, uno per la nuova zarina Aleksandra Fëdorovna Romanova e uno per la regina madre.
Secondo la tradizione della famiglia Fabergè, nemmeno lo zar avrebbe saputo il risultato finale della costruzione dell’uovo: l’unica sicurezza era che, all’interno, doveva trovarsi una sorpresa. Lo zar successivo, Nicola II, ordinò due uova ogni anno, uno per la madre e uno per la moglie, Alexandra, e la tradizione proseguì sino alla Rivoluzione d’ottobre. Grazie anche a questi oggetti, Fabergè divenne la più grande gioielleria della Russia. Oltre alla sede di San Pietroburgo, altri distaccamenti si trovavano a Mosca, Odessa, Kiev e Londra. Tra il 1882 ed il 1917, si è calcolata una produzione di circa duecentomila oggetti preziosi.
Quindi queste uova-gioiello, piene di richiami simbolici che interessano tutte le culture, hanno attraversato il tempo resistendo alle mode, ai regimi che cambiavano e perfino alla furia dei bolscevichi ed alle purghe; il loro geniale ideatore invece non si riprese mai dallo shock della Rivoluzione.

In foto. Alessio Oss emer