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COVID-19 E RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO E DELL’ENTE PER CONTAGIO

4 Maggio 2020

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COVID-19 E RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO E DELL’ENTE PER CONTAGIO

La prossima riapertura di grande parte delle attività produttive e commerciali impone qualche riflessione sui nuovi obblighi gravanti sul datore di lavoro e sulle conseguenti responsabilità.

In particolare con DPCM  11.3.2020 per le attività produttive e professionali si è disposta, tra l’altro, l’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio e l’adozione di strumenti di protezione individuale.

Con il “protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscritto da governo e le parti sociali il 14.3.2020, si sono dettate le linee guida in materia.

Il protocollo è stato aggiornato in data 24 aprile e, in pari data, sono stati sottoscritti protocolli specifici per determinate attività (cantieri, trasporti e logistica).

Lo scopo di tali protocolli è di “coniugare la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e delle modalità lavorative” adottando la “logica della precauzione”. Le linee guida offrono infatti importanti indicazioni sia di carattere organizzativo che igienico sanitario.

Si prevede a tal fine, ove possibile, la riduzione o la sospensione dell’attività lavorativa, anche mediante il ricorso ad ammortizzatori sociali o a congedi retribuiti e, in alternativa, lo svolgimento del lavoro agile. La prosecuzione delle attività lavorative residue è subordinata all’adozione di adeguati livelli di protezione per i lavoratori secondo le indicazioni offerte dalle linee guida, che si articolano in 13 punti così schematizzabili:

  1. Obblighi di informazione ai lavoratori
  2. Modalità di ingresso in azienda
  3. Modalità di accesso dei fornitori esterni
  4. Pulizia e sanificazione in azienda
  5. Precauzioni igieniche personali
  6. Dispositivi di protezione individuale
  7. Gestione spazi comuni
  8. Organizzazione aziendale
  9. Gestione entrata e uscita dei lavoratori
  10. Spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione
  11. Gestione di una persona sintomatica in azienda
  12. Disposizioni su sorveglianza sanitaria/medico competente/rls
  13. Aggiornamento del protocollo di regolamentazione

Con DPCM del 10 aprile e 26 aprile è stata ribadita tale impostazione, anche in funzione della riapertura di svariate attività prevista per il 4 maggio.

Il datore di lavoro è quindi chiamato ad adottare misure precauzionali (protocolli), coinvolgendo possibilmente i sindacati ed in ogni caso il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. I protocolli devono essere preceduti da una valutazione dei rischi da contagio in azienda (a tal fine l’Inail ha prodotto un documento tecnico) e prevedere misure di contenimento del rischio conformi alla normativa e parametrate alle peculiarità dell’impresa.

Tali protocolli costituiscono di fatto una integrazione del documento di valutazione dei rischi (DVR), che si consiglia aggiornare anche formalmente con richiamo alle valutazioni di rischio da contagio ed ai protocolli assunti (ovvero indicando in questi ultimi che vanno ad integrare il DVR e allegandoli al medesimo).

La redazione del DVR (così come dei protocolli anti-contagio che lo integrano) è notoriamente attività esclusiva del datore di lavoro, non delegabile ai sensi dell’art. 16 del T.U. 81/2008.

Se a tale considerazione si aggiunge che l’articolo 42 comma 2 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 (Cura Italia) prevede la tutela Inail del lavoratore che contragga l’infezione da corona virus “in occasione” del lavoro, ben si comprende come oggi il rischio di contagio sia a tutti gli effetti un rischio rilevante in materia antiinfortunistica.

Con circolare n. 13 del 3 aprile 2020 l’Inail ha chiarito che le malattie infettive e parassitarie sono da inquadrarsi nella categoria degli infortuni sul lavoro.

Conseguentemente il contagio da Covid-19 deve qualificarsi come un infortunio sul lavoro con tutte le conseguenze in punto di possibile responsabilità civile e penale in capo al datore di lavoro che non abbia adottato adeguate misure per prevenirne il rischio.

Se l’inosservanza delle misure antinfortunistiche è stata causa di infezione-malattia del lavoratore, il datore di lavoro risponderà dei reati di lesioni personali gravi o gravissime ai sensi dell’art. 590 c.p. (salvo ipotesi di malattia guaribile in meno di 40 giorni, nel qual caso la procedibilità del reato è a querela), oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte del lavoratore.

La prova della contrazione del virus in occasione del lavoro non è peraltro agevole e grava sul lavoratore/Inail (in ambito civilistico) e sul pubblico ministero (nel procedimento penale).

A questa regola circa l’onere probatorio fanno eccezione gli infortuni relativi a certe categorie professionali ad elevato rischio (operatori sanitari, gli operatori dei front-office, i cassieri e gli addetti alle vendite/banconisti ed altri) per le quali è prevista una presunzione semplice di contagio d’origine professionale, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico dei datori di lavoro. L’inversione della prova rileverà peraltro solo in ambito civilistico, gravando nel processo penale tale onere sempre e soltanto sulla pubblica accusa in forza delle disposizioni, anche costituzionali, regolanti la materia.

La mancata adozione dei previsti protocolli anti-contagio ed in generale delle misure di contenimento del rischio può peraltro assumere rilevanza penale anche in assenza di contagio.

Ci si riferisce alle ipotesi contravvenzionali che puniscono l’inosservanza di specifici obblighi gravanti sul datore di lavoro ai sensi del T.U. come ad esempio:

– mettere a disposizione dei lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;

– informare i lavoratori circa i rischi cui sono esposti e le disposizioni cui attenersi;

– consentire l’attività nonostante la persistenza di un pericolo grave e immediato.

Ovviamente le considerazioni che precedono possono interessare non solo la responsabilità del datore di lavoro, ma anche quella dei dirigenti e dei preposti e persino del lavoratore, ciascuno ovviamente in relazione alla propria posizione nella scala delle responsabilità in materia antiinfortunistica.

Si pensi ad esempio ad un preposto che non controlli l’effettivo uso di mascherine chirurgiche da parte dei lavoratori a lui sottoposti qualora l’utilizzo di tale dpi sia previsto.

Una ulteriore considerazione riguarda la responsabilità amministrativa da reato gravante sugli enti (società comprese) ai sensi del D.Lgv. 231/01 in relazione all’art. 25 septies (lesioni gravi o gravissime e infortunio mortale sul lavoro), con sanzioni pecuniarie che, in caso di omicidio colposo, possono arrivare fino a 1,5 milioni di Euro e sanzioni interdittive decisamente gravose (es. interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione/revoca autorizzazioni, esclusione agevolazioni ecc.).

Il presupposto per contestare tale responsabilità è che si accerti che le violazioni in materia antiinfortunistica siano state commesse nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

L’interesse o il vantaggio bene possono configurarsi qualora, a scapito della salute dei lavoratori, l’ente abbia omesso l’adozione dei protocolli di prevenzione del contagio e delle relative misure di sicurezza allo scopo di risparmiare sui costi ovvero non li abbia adottati o applicati per favorire la produttività.

Appare dunque di estrema importanza, in questo periodo di emergenza, l’attività di controllo dell’organismo di vigilanza all’interno delle società, che sarà chiamato a verificare l’adozione e l’adeguatezza dei protocolli anti-contagio, che vanno ovviamente ad integrare il modello di organizzazione e gestione dell’ente (quali procedure in materia di prevenzione degli infortuni e malattie sul lavoro), nonché la loro concreta attuazione.

Avv. Paolo Corti

IOOS Studio Legale e Tributario

Foto/┬®KLR – Paolo Conti.