Parole di odio e controparole

“Le parole fanno più male delle botte” diceva Carolina Picchio, forse la prima adolescente italiana vittima di cyberbullismo. Una frase lapidaria che continua a essere sottovalutata soprattutto da chi ha funzioni educative in quanto non basta indignarsi di fronte a espressioni del tipo “Perché non muori, così ci liberi?” o altre peggiori espressioni che circolano nelle comunicazioni digitali. Serve invece agire e intervenire in fretta. Non deve accadere che chi ha funzioni educative si possa accorgere della gravità del fenomeno solo quando i bambini o i pre-adolescenti usano nei confronti degli adulti parole offensive che feriscono verbalmente se non fisicamente. Allora è troppo tardi inorridire e allarmarsi.
E poi non serve a nulla che genitori e insegnanti si ripetano come un mantra frasi tipo “Questa generazione non ha rispetto dell’autorità!”. Tantomeno sul piano educativo hanno una grande utilità le punizioni esemplari o le sospensioni da scuola. I comportamenti violenti di una società che veicola continuamente violenza, non si modificano con il semplice meccanismo stimolo/risposta o punizione/correzione. C’è bisogno di progetti educativi non improvvisati sotto la spinta dell’emergenza e di attività non residuali rispetto al progetto formativo che famiglia e scuola devono perseguire. Prevenire le forme di odio e di intolleranza dovrebbe essere centrale.
Invece il linguaggio violento aumenta tra la generazione dei centennials. I minori di oggi, sempre connessi in rete, si divertono a utilizzare parole offensive, deridere e calunniare e sollecitano sempre più lo sviluppo dell’odio online, altrimenti detto hate speech. Una delle ragioni è che questa violenza verbale rende visibili, attira follower e fa cresce in popolarità.
A sentirli quei minori, ti dicono che lo fanno per gioco e che anche le vittime si divertono. Allora ti chiedi: forse non sanno la differenza tra divertimento e offesa? O nessuno gliel’ha insegnata? Propendo per la seconda.
Alle parole dell’odio, del resto, si arriva gradualmente con poca consapevolezza, in un crescendo di disattenzione e di non curanza per il rispetto degli altri e delle regole. E a guardare bene sono troppi gli educatori che non intervengono più di tanto se un bambino offende e non rispetta i diritti di un altro bambino.
Allora per contrastare le parole dell’odio urge educare i piccoli all’uso della comunicazione facendo loro sapere che le parole non sono neutre, ma hanno colore e danno forma al pensiero. Possono essere “ponte” o armi, avvicinare o allontanare, coccolare o uccidere. Bisogna però partire presto con questa educazione e, a casa come a scuola, dare peso e significato alle “controparole”, cioè a quei segni verbali di un linguaggio di base che parte dal grazie, prego, permesso, buongiorno. È necessaria una vera educazione alle emozioni, cioè a quel dialogo dell’Io col Tu che permette di esprimere ciò che ciascuno prova dentro e consente di ascoltare quello che l’altro dice.