Per Voltaire: “il dubbio non è piacevole ma la certezza è ridicola”. Senza troppo scomodare l’illustre illuminista francese la stagione sindacale italiana vive nel mezzo. Molti dirigenti sindacali vivono nella certezza, dimentichi dei dubbi (liquidi) che arrivano direttamente da una società in continuo movimento. L’epoca storica che viviamo è complessa: partiti liquidi ed in crisi, relazioni sindacali (ed ovviamente industriali) sfilacciate e non sempre in linea con le vere esigenze del mondo dei lavoratori. L’ultimo aspetto ha creato una voragine tra chi lavora e chi dovrebbe rappresentare i lavoratori. Una falla aperta negli anni’80 del secolo scorso (il fallimento del progetto unitario promosso da Cgil, Cisl e Uil) ed allargatasi anno dopo anno. Serve una doverosa premessa politica. Dal 1993 in pratica il nastro trasportatore tra partiti e sindacati maggiori si è evoluto scomparendo. I vecchi binomi Cgil-Pci, Cisl-Dc e Uil-Psi sono venuti meno. La liquefazione del socialismo riformista degli ex Psi è traslato in partiti “nuovi” come Pds (poi Ds, poi PD, frutto di un compromesso storico con l’ex Dc Margherita) e Forza Italia (partito di stampo neoliberista) ha lasciato il campo ad opposte e quasi estreme visioni. Forza Italia, Lega ed oggi Movimento 5 Stelle sono in antitesi al PD che rappresenta la sintesi “storica” ex-Pci ed ex-Dc, ovvero quel progetto per molte legislature cercato ma mai attuato. L’ evoluzione però ha portato in dote una sorta di partito- Giano, divinità bifronte e poco lineare, come le scelte non proprio “a sinistra” di quello che dovrebbe essere il partito “a sinistra” per eccellenza. Questa diarchia tra cattolici ed ex comunisti in contrasto con una destra nuova (populista?) quasi trumpiana come quella creata da Salvini (la vecchia Lega non esiste più) che corre da sole e cannibalizza quella detta liberale (o liberista a seconda dell’elaborazione) rappresentata da Forza Italia. Movimento 5 Stelle che fa storia per conto proprio (non è un partito tradizionale, approccia come mai prima in Italia) e Fratelli d’Italia che rappresenta una destra “neomissina”. In tutto questo la totale evaporazione della sinistra massimalista, confinata in partiti (Leu ad esempio) legati più ad esponenti storici e di spicco che a laboratori d’idee politiche. Politica e sindacato non viaggiano più in parallelo, per questo motivo l’evoluzione del sindacato ha creato distorsioni ed ossimori. Nel mezzo i sindacati che hanno scelto strade non sempre comprese dai lavoratori. Esistono sostanzialmente tre scuole di pensiero su cui sono formati i dirigenti sindacali medi:
forma mentis politica: ovvero far del sindacato una sorta di partito politico, infilandolo in discorsi o comportamenti pro o contro le forze politiche e non decontestualizzando le proposte a prescindere dal colore. Approccio delicato, molti lavoratori evitano d’iscriversi “per motivi politici” e pesa la sconfitta “politica” di Landini con Marchionne nella questione Fca. L’allora segretario Fiom fu di fatto sconfitto in casa, ovvero dagli operai che rappresentava
forma mentis assistenziale: il sindacato visto come dispensatore di servizi tra i più disparati, privo di testa politica e strategia, viene scambiato per “associazione di volontariato o mutuo soccorso”. Questo genere d’approccio allontana i lavoratori nel momento in cui non ritengano più necessario il servizio, dall’assicurazione all’assistenza fiscale
forma mentis ibrida: ovvero la migliore, sindacato tra i lavoratori che segue tramite servizi mirati ed allo stesso tempo che tratta per un miglioramento della vita lavorativa, esaminando le proposte e non il proponente (a prescindere dal colore politico)
La terza via sarebbe quella equilibrata e corretta, ovvero prendere in esame, correggere o discutere proposte contrattuali senza ancore ideologiche. Va detto chiaramente: non è sufficiente nel 2019. Molti lavoratori non vedono una vera funzione del sindacato, la sfiducia è talmente elevata che l’utente medio pensa d’avvalersi del sindacato solo se costretto, senza comprendere che un sindacato debole con scarso potere contrattuale (quindi con pochi iscritti) non potrà migliorare i contratti. In conclusione non vanno aboliti i sindacati, un corpo intermedio fondamentale, ma riformati pesantemente, coinvolgendo nuove categorie di lavoratori, accorpandone altre ricordando che meno interlocutori partecipano alle contrattazioni e più il risultato sarà consono al lavoratore. In pratica meno soggetti ai tavoli ma più poliedrici. Troppi attori portano confusione, vedasi appunto il caso Fca ove Marchionne lavorò moltissimo sulla costellazione sindacale, spesso divisa. Oltre al diritto base, lo studio completo dei contratti di categoria (che è bene sia appannaggio di tecnici che accompagnino il dirigente politico), l’economia micro e macro, la conoscenza del macro comparto (pubblico o privato ad esempio) ed una dialettica di stampo politico oltre ad una capacità di pensiero poliedrica. Un dirigente sindacale moderno per instillare fiducia deve essere giuridicamente (il contratto-Bibbia), storicamente (inteso come storia contrattuale) ed economicamente (risorse disponibili per la categoria) preparato nella genesi del proprio pensiero sindacale, che deve avere ed esporre con chiarezza (senza linguaggio sindacalese) quando si rivolge alla categoria che rappresenta soprattutto in assemblea. La semplicità degli obiettivi o degli esempi di ragionamento è fondamentale per capire che un dirigente sindacale è di fatto un lavoratore con una funzione diversa. Per logica l’esperienza lavorativa personale nel settore non può essere inesistente od esser inferiore ad almeno cinque anni. Un lavoratore si riconosce e si fida un lavoratore che ha una storia simile alla propria. Un dirigente sindacale che non ha mai avuto esperienze di lavoro concrete, nel 2019, non crea presupposti di sicurezza e fiducia. Lo studio può non bastare e la formazione sui tavoli può risultare insufficiente se il tal settore non lo si è vissuto. Il rischio? Diventare sindacalisti assistenzialisti, ovvero anatre zoppe, perché senza chi lavora nei servizi (di patronato, assistenza fiscale o legale) di fatto poco o nulla si può fare. Il problema è banale: avvicinare al sindacato lavoratori (con esperienza media) che abbiano voglia di farsi carico del miglioramento della vita lavorativa e che utilizzino linguaggi ed approcci moderni. Si può conoscere il sindacato tramite i social? Si può ma non bisogna fermarsi, la vita sindacale va vissuta nelle sedi, visto che si basa su rapporti umani interpersonali che vanno coltivati. Il dirigente sindacale è un mediatore di conflitti e stipula accordi, quindi deve mettere al centro la conoscenza “fisica”. Il proselitismo però può passare dai social, mezzo utilizzato da under 35 (il futuro passa da loro e sono tar i meno sindacalizzati…) per informarsi e da cui traggono spunto per conoscere. Non esistono formule magiche per recuperare fiducia, ma solo lavoro e persone motivate che provengono dal lavoro. Chi vuol far politica è bene si rivolga a partiti e non a sindacati, la politica moderna non è più attrezzata per una sana interconnessione partito/movimento e sindacato. Nel mezzo tanti lavori nuovi o nuovissimi che non vanno emarginati, in primis le piccole partite iva, di fatto dei dipendenti alla dipendenza della propria persona. Il sindacato è pro, non contro e deve tornare ad essere “organizzazione di mezzo”, che faccia da guardiano dei diritti dei lavoratori utilizzando lavoratori, insomma il sindacato moderno deve guardare al sindacalismo di quasi cento anni addietro, alle assemblee, al rapporto umano tra “unioni di persone con i medesimi fini lavorativi”, una soluzione più semplice di quel che sembra e che potrà evitare un suicidio assistito del sindacato, dopo lunga agonia (per i lavoratori).
Marco Pugliese
Segretario Regionale Uil Scuola Rua TAA-Südtirol