Ci sono storie che si raccontano e altre, spesso quelle che parlano di prevaricazioni e violenze, che vengono tenute nascoste sotto il velo perverso dell’omertà. Le storie del bullismo, ad esempio, sono date come necessarie notizie che descrivono i fatti ma narrano poco del senso profondo di quello che accade nella psiche di chi subisce o di ciò che agita l’anima di coloro che esercitano le offese.
Della violenza orizzontale gli adulti spesso non conoscono i fatti e tantomeno le sofferenze di chi viene preso di mira. I genitori sovente non sanno dei figli vittime di derisioni e offese e conoscono poco le tante varianti della violenza bulla che adesso si coniuga sempre di più on line. In gran parte rimangono all’oscuro del malessere che prova chi è deriso e insultato. Per lo meno fin a quando chi soffre non lo manifesta apertamente.
Ma ciò che è più grave è che un po’ tutti ci stiamo abituando alle prevaricazioni del bullismo fisico e verbale e che si sta normalizzando un fenomeno che normale non è. “Un gesto inutile e di immotivata gentilezza” è una storia nuova che ti provoca e ti fa pensare. Una narrazione diversa raccontata da un gruppo di adolescenti che affronta il comportamento bullo da una prospettiva inusuale, quello di una comunità che ha fatto del bullismo un valore.
Scritta e realizzata da una classe del Liceo Pascoli di Bolzano è una documentazione video moderna che usa la tecnica del “mockumentary”, cioè di un falso documentario, e vuole far uscire allo scoperto una realtà difficile e problematica forse già trasformata in una rappresentazione di valore in quanto considera il comportamento bullo non più qualcosa di negativo ma un talento da scoprire.
Una lettura dunque paradossale quella dei quindicenni invitati dai loro insegnanti a riflettere sul tema e abilmente guidati da un regista attento ed esperto come Federico Greco. Una narrazione significativa che ti scuote perché punta il dito sul pericolo strisciante della normalizzazione della violenza frutto dell’abitudine a considerare le prepotenze e le vessazioni come qualcosa di ormai costante e presente nella realtà che ci circonda. Più la società si abitua alle storie di quotidiana violenza e meno ne avverte la pericolosità.
È una realtà distopica, cioè negativa e falsa, dicono i ragazzi della seconda C quando mostrano che si fanno selezioni pubbliche per trovare una ragazza bulla da incoronare. È un “non-luogo”, ovvero un spazio paradossale dove ha acquisito valenza positiva il posto dove si mettono in scena le varie parti, così come è “non-valore” l’entusiasmo della madre finalmente soddisfatta dalla propria figlia ufficialmente riconosciuta bulla. Ma tant’è! È quello che accade.
Una provocazione dunque, chiara e tonda. Un apparente paradosso che però non va molto distante dalla realtà delle cose che stanno succedendo. Perché il bullismo di oggi sta diventando per tutti qualcosa di comune, troppo comune e abituale, al punto tale che è facile non vederlo e non sentirlo come un male da fronteggiare. Lo dimostra la percezione che ne hanno i minori quando dicono che tutto sommato è un gioco divertente anche per le vittime e ancora di più lo evidenzia l’atteggiamento di anomala sorpresa degli adulti che alla fine, molto alla fine, si accorgono quanto la violenza delle parole e dei gesti si affolli dietro le loro spalle. Ed è a questi ultimi, ai grandi e a quelli che hanno doveri educativi, che credo debba essere maggiormente dedicato il docu-film dei ragazzi di Bolzano.
Foto, Giuseppe Maiolo, psicoanalista