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Emanuele Stablum, all’Ospedale di Bolzano una mostra per raccontare l’avventura di una vita

18 Gennaio 2019

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Emanuele Stablum, all’Ospedale di Bolzano una mostra per raccontare l’avventura di una vita

Al San Maurizio di Bolzano dal primo al quindici febbraio 2019. 

Si tratta di una storia che il tempo ha fatto venire a galla nella ricchezza dei suoi contenuti: quella di Emanuele, un trentino che diventerà romano di adozione, per finire poi nella memoria storica universale. Parliamo di un uomo che ha dato il proprio contributo allo sviluppo della medicina, di uno che ha messo in gioco la sua vita per salvare quella di altri, di un religioso per il quale la Chiesa cattolica ha introdotto la Causa di Beatificazione.

La prima biografia di Emanuele Stablum è stata pubblicata dalle edizioni “Orizzonte medico” alcuni anni fa a cura di Agostino Maltarello, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani. Successivamente, Giovanni Cazzaniga ha scritto un breve profilo in una fortunata collana divulgativa dell’Editrice Velar-LDC. Alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi è stata presentata la ponderosa Positio, ovvero una documentata ricostruzione storica della vicenda esistenziale di Stablum e, insieme, l’analisi delle virtù che lo rendono una figura venerabile. Nel frattempo lo Stato di Israele lo ha riconosciuto “Giusto tra le nazioni” per il suo coraggioso intervento a favore degli ebrei in occasione della Shoah.

Una storia di attualità

In breve i tratti biografici sono questi. Emanuele Stablum nasce a Terzolas (Val di Sole) nel 1895. Compiuti i 15 anni si reca a Saronno (Varese) per verificare la propria scelta di vita nel solco del carisma di Luigi Monti (1825-1900), che fu un religioso infermiere ed educatore beatificato da papa Wojtiła nel 2003.

Emanuele desidera diventare prete e inizia gli studi teologici. Arrivato quasi alla meta finale, gli viene chiesto di abbandonarli per iscriversi alla facoltà di medicina. Sperimenta una cocente delusione, manifestando tuttavia la forza interiore di un vero uomo di Dio: sarà per sempre un cristiano laico consacrato, vivendo in fraternità la sua missione di medico.
Negli anni ‘30 e ‘40 dirige con competenza l’IDI di Roma, un ospedale dermatologico fondato dalla sua congregazione religiosa (i “Figli dell’Immacolata Concezione”). Partecipa alla vita culturale, sociale ed ecclesiale dell’Italia che esce dal fascismo e dalla seconda guerra mondiale. In quegli anni salva la vita ad un centinaio di rifugiati ed ebrei perseguitati, che nasconde nell’ospedale vestendoli da frati o ricoverandoli come malati. È tra i soci fondatori dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI). Muore il 16 marzo 1950 all’IDI di Roma, dove è sepolto.
La Mostra

La mostra illustra in dieci pannelli i passaggi fondamentali della vicenda umana di Stablum: il desiderio di farsi prete e l’iniziale contrarietà della madre; il rebalton della prima guerra mondiale che colpisce la sua terra natale; il ‘forzato’ abbandono degli studi di teologia per iniziare quelli di medicina; gli anni dell’impegno professionale e di coerente vita consacrata; la tragedia della seconda guerra mondiale e la sua solidarietà verso perseguitati politici ed ebrei; il ruolo di governo nella sua congregazione religiosa e la malattia che lo portò alla morte e che era stata oggetto dei suoi studi per l’esame di stato. Il retroterra spirituale di Stablum è stato delineato in un agile volume (Fratello è bello, 2017) pubblicato dall’editrice Ancora di Milano.
Il curatore della mostra, Ruggero Valentini, ha espresso la convinzione che essa rappresenti una modalità comunicativa efficace: in pochi minuti permette di conoscere una storia vera e appassionante; può essere facilmente esposta nei più diversi luoghi; comporta la fattiva collaborazione dei soggetti che la richiedono; favorisce il dialogo diretto con i visitatori.
Il titolo – Le alte Vie di Emanuele Stablum – esprime la passione per la montagna e per la sua “Heimat”, ma anche il percorso arduo e affascinante, a tratti estremo, della vita consacrata, intrecciato con il lavoro professionale praticato come missione. Alcune sue frasi sono indicative di questa spiritualità.
Spiritualità e professione
In una lettera scrive ai familiari: “Vedete come noi ci amiamo ancora, ci amiamo sempre: vedete come la lontananza non ha affatto diminuito gli affetti. Non li diminuirà mai. Come voialtri anch’io non posso fare a meno di rammentare più del solito Val di Sole e Val di Rabbi: persone e cose: voi tutti per primi e il sole nostro, l’aria nostra così diversa, le acque, i monti nostri maestosi e i fiori svariati”.
Alla mamma confida con audacia una sua riflessione densa di autenticità: “Oh, mamma, la vera pace, la vera felicità si trovano solo con Gesù. Non crediate che sia il convento che fa i religiosi felici, no, è Gesù amato e servito fedelmente: il convento senza Gesù sarebbe un inferno, mentre con Lui è un paradiso”.
Quanto alla missione di medico appare chiara la sua concezione olistica, ovvero globale – fisica, psicologica e spirituale – della persona del malato: “Cercare sempre fra le pieghe di un dolore fisico il tormento di un’anima; udire in ogni istante di fronte al malato il richiamo indiretto di Gesù: “vedi, colui che amo è infermo”; allontanarsi dal fratello sofferente soddisfatti di un dovere compiuto solo quando le cure premurose, le parole amorevoli di comprensione ce lo hanno reso amico”.
Una santità medica, quella del Servo di Dio Emanuele Stablum, nella linea di altri contemporanei come san Giuseppe Moscati e san Riccardo Pampuri. E insieme una santità a rischio della propria vita, come quella dei beati Odoardo Focherini, che aveva genitori solandri come lui, e del beato Josef Mayr Nusser, sudtirolese, martiri entrambi della violenza anticristiana del Nazismo.

In medicina – scrivono Mauro Cozzoli e Massimo Massetti su Avvenire del 4 gennaio 2019 – è molto vivo oggi il problema sollevato dalle medical humanities, che avanzano il bisogno di coniugare le scienze e le tecnologie con i saperi umanistici e comportamentali. In questa linea Stablum è testimone di una medicina centrata sul malato più che sulla malattia, al fine di porre l’attenzione sulla totalità inscindibile delle componenti fisica, emotiva, spirituale e sociale. Egli ha saputo coniugare umanità ed efficienza, praticando non solo una medicina efficace ma anche sostenibile, perché a costo zero, che ripaga ampiamente le risorse impiegate.

Tale medicina – sostengono gli autori citati – fa presa sulle risorse valoriali dei soggetti cominciando “dentro”, nella interiorità delle coscienze, traboccando in ogni ambito del decidere e agire medico: relazionale, progettuale, gestionale, strutturale, istituzionale. Una relazione, dunque, di “empatia” che porta a immedesimarsi con il sentire e soffrire del malato; di “compassione”, che lo prende con sé, ne condivide il patire; di “consolazione”, che gli dona il beneficio e il sollievo della medicina.
La mostra è stata esposta nel corso del 2018 in Val di Sole, a Cles, a Roma e in Lombardia. Sarà poi a Trento nel prossimo mese di marzo.