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Psicoanalisi. Genitori inconsapevoli alimentano la pedopornografia, di Giuseppe Maiolo

6 Maggio 2018

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Psicoanalisi. Genitori inconsapevoli alimentano la pedopornografia, di Giuseppe Maiolo

I Social servono. Di più, soddisfano parecchi bisogni. Sono spazi sociali che ti permettono di comunicare, scambiare informazioni e opinioni, interagire con gli altri. Ti offrono opportunità per costruire relazioni affettive, a volte anche molto significative. Soddisfano i tuoi bisogni di stima e di approvazione in quanto ti fai l’idea che per quelli ti seguono sei importante. Ti permettono di autorealizzarti perché puoi mostrare le tue conoscenze e le tue competenze professionali. Insomma i Social media sono uno strumento potente che può servire a star bene ma anche a costruire e modellare la tua identità sociale.
Allo stesso tempo però nei social media c’è qualcosa di paradossale. Ci stanno abituando a condividere con tutti ogni istante della nostra vita e ogni gesto. Ci spingono a rendere partecipi gli utenti online, amici e non, del nostro mondo pubblico e privato. Così il concetto di privacy è radicalmente cambiato e ed è diventato una questione seria e pure un grande impegno educativo.
Il 5 maggio, che è la giornata mondiale contro la pedofilia e la pedopornografia, in effetti vuole ricordarci un pericolo come l’adescamento online, che è diretta conseguenza di pratiche che hanno a che fare con la disattenzione per la privacy.
Per prevenire questi pericoli sempre più frequenti, dobbiamo dare ai minori indicazioni e regole precise su come comportarsi nei social, ma è altrettanto necessario che gli adulti si auto-educhino e riflettano sui rischi che si corrono nel pubblicare le foto dei figli mettendole a disposizione di tutti. Si tratta di una pratica negativa e pure incredibilmente frequente. Alcune recenti studi dicono che a cinque anni i bambini sono presenti sul web con almeno mille scatti e che a un’ora dalla nascita due terzi dei piccoli è già su un social. Addirittura è in uso anche la diffusione on line delle ecografie come scatti d’autore!
Il fenomeno si chiama “sharenting”. Significa abitudine a postare immagini e informazioni private sui propri figli, su dove si trovano e cosa fanno. Quanto di più pericoloso ci possa essere, anche secondo le autorità garanti della privacy e dei minori che sottolineano l’aumento del mercato della pedopornografia e degli adescamenti sul web, i quali avvengono anche grazie alla “involontaria” diffusione di notizie fornite dai genitori. I motivi? Sono diversi e possono andare da quel bisogno di approvazione sociale di cui si diceva alla necessità di godere attraverso i like di un’immagine positiva come madri e padri. Cosa che, nella genitorialità di oggi, fa pensare a un diffuso desiderio di perfezionismo e insieme a una profonda insicurezza.
Di questa abitudine alla pubblicazione delle foto di figli e nipoti sui social, compreso WhatsApp, vanno considerati invece i pericoli e gli aspetti negativi. Il primo è il possibile e frequente furto di identità che consente ad altri di impossessarsi di quelle immagini e di “replicarle” all’infinito. Il secondo è la mancanza di rispetto che è offensiva nei confronti del bambino il quale ha il diritto di poter scegliere cosa farne della propria immagine e non ritrovarsi nudo on line, seduto su un vasino. Ma poi questa pratica costante di postare tutto dal primo dentino alla gita domenicale con i genitori o alla caduta dalla bicicletta, è quanto di più diseducativo possiamo fare perché, come adulti di riferimento, non siamo credibili se poi vogliamo insegnare il rispetto degli altri e la necessità di riservare per noi le cose private della vita.

In foto, Giuseppe Maiolo, docente Psicologia dello sviluppo – Università di Trento.  

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