Bolzano. Corrarati, “seconda lingua, necessari provvedimenti urgenti” Intervista di Pinuccia Di Gesaro
L’economia altoatesina, da un punto di vista generale, non si può dire soffra delle angustie che si registrano in altre zone d’Italia. Tuttavia i problemi anche qui non mancano e uno, che non avremmo immaginato, è emerso nel corso di una conversazione con il presidente regionale dell’Unione degli Artigiani, Claudio Corrarati. Si tratta del bilinguismo e, più in generale della conoscenza delle lingue,
In che modo – chiediamo a Corrarati – la competenza linguistica è un problema per l’economia locale?
Dal punto di vista dell’economia – risponde Corrarati – noi oggi in Alto Adige soffriamo moltissimo della mancanza sul mercato di lavoratori e lavoratrici che entrano nelle nostre aziende e conoscano più lingue. La nostra attività economica deve essere presente non solo a livello locale ma anche internazionale. Ma ci troviamo nella situazione che molti ragazzi dopo aver frequentato in provincia di Bolzano tredici anni di scuola, tra elementari, medie e superiori non sono in grado di entrare nelle nostre aziende in maniera attiva sapendo scrivere qualcosa o rispondere al telefono sia in lingua italiana che in lingua tedesca. Questo sta diventando un grossissimo problema.
Eppure, è la nostra obiezione, la scuola da molti anni è impegnata sul fronte del bilinguismo, con progetti sperimentali di vario tipo, alcuni dei quali anche all’avanguardia. Qual è la sua opinione?
Bisogna individuare un metodo didattico che già dalla scuola materna sia in grado valorizzare un livello di preconoscenza della lingua e di attuare poi un iter linguistico in modo tale che all’uscita dal percorso scolastico si possa certificare in modo scientificamente più aggiornato una soddisfacente competenza linguistica più di quanto non sia possibile con l’attuale modello del patentino. Vorrei distinguere i due ambiti, uno è quello di imparare una lingua e l’altro riguarda lo sviluppo della convivenza su un territorio, qual è il nostro, dove la condivisione delle culture presenti,è un obiettivo irrinunciabile da perseguire sia in ambito scolastico, che a più vasto livello sia al livello sociale.
Quindi, secondo Lei, dal punto di vista strettamente linguistico, come va affrontato il problema?
Imparare una lingua vuol dire faticare. Io personalmente ho imparato il tedesco facendo fatica, tanta fatica, ma dovevo farcela perché era una mia esigenza di lavoro. Oggi tengo corsi in lingua tedesca, parlo indistintamente italiano e tedesco, ma questo è stato possibile attraverso un lungo impegno personale. Non possiamo prescindere dall’impegno, ma dobbiamo anche adeguare il sistema didattico perché l’apprendimento non sia così incredibilmente difficile. Il metodo non può essere quello di pensare che tutti debbano frequentare la stessa scuola ma intervenire a livello didattico sulla qualità dell’insegnamento delle lingue. In questo territorio, è paradossale parlare di rilancio dell’economia se una parte del tessuto produttivo è privo di lavoratori e lavoratrici con adeguata competenza della seconda lingua. Dall’altra però – aspetto importantissimo – non possiamo pretendere che le generazioni tra i 30 e i 50 anni che non hanno avuto la fortuna di imparare la seconda lingua assorbano il cosiddetto “bilinguismo passivo”.
In quali circostanze il “bilinguismo passivo” si rende indispensabile?
Alle riunioni pubbliche provinciali, si parla oggi quasi prevalentemente solo la lingua di maggioranza, indipendentemente dalla lingua dei partecipanti al tavolo di lavoro. Due sono gli aspetti da tenere separati: la conoscenza della lingua e la condivisione e il rispetto delle culture. Oggi troviamo delle aziende italiane che sono radicate nel territorio della città che paradossalmente restano isolate da alcune dinamiche economiche per l’incapacità di dominare la seconda lingua. Oggi bisogna essere in grado di introdurre nelle aziende di lingua italiana personale con buone conoscenze di ambedue le lingue. L’esigenza è improcastinabile.
Foto, Claudio Corrarati