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Giorgio Perlasca, un Giusto tra le Nazioni

17 Dicembre 2017

Giorgio Perlasca, un Giusto tra le Nazioni

Giorgio Perlasca è un personaggio che in Italia il grande pubblico conosce grazie ad un film di Alberto Negrin, “Perlasca – un eroe italiano”, in cui Luca Zingaretti interpreta il ruolo principale. La ficton, la cui sceneggiatura è stata tratta dal libro di Enrico Deaglio “La banalità del bene” venne trasmessa in prima visione Tv su Raiuno in prima serata il 28 e il 29 gennaio 2002.

Giorgio Perlasca, nato a Maserà nel 1910 nell’allora Regno d’Italia, nel 1935 si arruolò come volontario in Africa Orientale e in Spagna successivamente con il Generale Franco. Dopo la fine della guerra di Spagna, tornato in Italia, il suo rapporto con il fascismo, inteso come regime, fu compromesso a causa dell’alleanza con il Reich e le sue leggi razziali, copiate anche dal regime di Mussolini in Italia. Perlasca non accettava uno Stato che discriminava i suoi cittadini per ragioni religiose e razziali, proprio come non poteva accettare un’alleanza con uno Stato contro il quale l’Italia, solo vent’anni prima aveva combattuto una feroce guerra che aveva riportato all’Italia Trento e Trieste. Coerente con il suo pensiero smise di essere fascista, senza però diventare antifascista. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale fu mandato come incaricato degli affari esteri e con lo status di diplomatico nei paesi dell’Est per acquistare carne per l’Esercito italiano. A Belgrado, in Romania vide i primi rastrellamenti e le prime deportazioni di ebrei e zingari nel 1941 da parte dei nazisti tedeschi.

L’otto settembre del 1943 si trovò a Budapest e a causa dell’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati dovette scegliere se aderire alla Repubblica Sociale Italiana, oppure no. Sempre coerente con il suo pensiero e sentendosi vincolato dal giuramento di fedeltà prestato a Sua Maestà Vittorio Emanuele III, rifiutò di aderire alla causa di Mussolini. Fu internato in un castello riservato ai diplomatici, per alcuni mesi la vita corse tranquilla, benché la politica ungherese stesse rapidamente cambiando in peggio in particolare per la presenza dei nazisti. A metà ottobre del 1944, dopo l’annuncio del reggente ammiraglio Miklós Horthy de Nagybánya della firma dell’armistizio con l’Unione Sovietica, i tedeschi dopo aver preso il potere arrestarono il reggente affidando il governo alle Croci Frecciate, ovvero i nazisti ungheresi. Perlasca così dovette fuggire e trovò rifugio presso l’Ambasciata spagnola grazie ad un documento di congedo rilasciatogli dalle Autorità Spagnole durante la sua permanenza in Spagna. L’Ambasciatore spagnolo, Ángel Sanz Briz gli rilasciò un regolare passaporto intestato a Jorge Perlasca e così iniziò la sua collaborazione con l’Ambasciatore, che già allora assieme ad altre potenze neutrali presenti, tra cui la Svezia, il Portogallo, la Svizzera e la Città del Vaticano, rilasciava salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione e cultura ebraica. Alcuni funzionari di qualche Paese vendevano a caro prezzo i salvacondotti, non avendo né la forza morale, né la volontà di pretenderne il rispetto. Alla fine di novembre dello stesso anno l’Ambasciatore spagnolo richiamato per consultazioni in Patria offrì a Perlasca la possibilità di seguirlo, ma Perlasca decise di restare per portare avanti l’opera iniziata e non abbandonare alla morte certa chi viveva sotto la protezione della bandiera spagnola. Perlasca con timbri e carta intestata, autenticò la sua nomina ad Ambasciatore spagnolo e portò le credenziali al Ministero degli Esteri, dove fu accettata. Di fatto Perlasca sapeva come muoversi in ambienti diplomatici. Da allora iniziarono i 40/45 giorni in cui con il sostegno dell’Avvocato Farkas, il legale dell’Ambasciata spagnola, anche lui ebreo, tenne in piedi l’Ambasciata e l’incredibile messa in scena. Purtroppo Farkas, che riuscì a sfuggire alla crudeltà nazista, fu ucciso dalle truppe dell’Armata Rossa nel gennaio del 1945.

Perlasca difese, salvò e sfamò giorno dopo giorno oltre 5200 ebrei ammassati in cinque case protette lungo il Danubio, di fronte all’isola Margherita. Li rifornì di cibo, trovò denaro, organizzò un abbozzo di struttura militare di resistenza e affrontò fisicamente le Croci Frecciate. Senza esitare girò su un’automobile con le insigne della Spagna nella Budapest colpita dal gelo, dalle macerie e dai cecchini. Protesse gli ebrei dalle incursioni dei nazisti ungheresi, recandosi con il diplomatico e filantropo svedese Raoul Gustav Wallenberg alla stazione ferroviaria per tentare di recuperare i protetti, trattando quotidianamente con il Governo ungherese e le autorità naziste di occupazione. Basandosi sul fatto che la maggior parte degli ebrei ungheresi era di origine sefardita, di antica origine spagnola cacciati ancora dalla Regina Isabella la Cattolica, rilasciò agli ebrei salvacondotti dai quali risultava che parenti spagnoli avevano richiesto la loro presenza in Spagna.

Nelle ore finali della disfatta tedesca a Budapest, dopo aver saputo che gli ungheresi volevano incendiare il ghetto della città, affrontò il ministro degli interni riuscendo a dissuaderlo dal brutale intento. Dopo l’arrivo dell’Armata Rossa a Budapest, Perlasca fu fatto prigioniero, ma liberato poco dopo e così riuscì a rientrare in Italia dopo un lungo ed avventuroso viaggio per i Balcani e la Turchia. In Italia iniziò una vita normale, ritenendo di non aver fatto nulla di eccezionale e che qualsiasi persona al suo posto si sarebbe dovuta comportare in quella maniera, con maggior o minor fortuna, ma in quella maniera. Neppure ai suoi cari raccontò la storia nella sua completezza. A differenza di altri non raccontò e non vendette la sua incredibile storia per ottenere qualcosa in cambio.

Fortunatamente la sua storia non è entrata nel dimenticatoio, nonostante il silenzio assordante di coloro che sapevano. Perlasca fu ritrovato nella fine degli anni ’80 da Eva e Pal Lang, entrambi sopravvissuti a quegli anni terribili. Israele, Yad Vashem, lo proclamò Giusto tra le Nazioni. Così andò a Gerusalemme dove piantò l’albero sulla collina dei Giusti, ospite del Governo israeliano. Gli venne anche concessa la cittadinanza onoraria dello Stato d’Israele. Solo allora seguirono a ruota gli altri Paesi, dall’Italia dove la vicenda venne fatta conoscere al grande pubblico da Enrico Deaglio, con la trasmissione televisiva Mixer e con il libro “la banalità del bene”, che gli concesse la Medaglia d’Oro al Valor Civile ed il titolo di Grande Ufficiale della Repubblica. In Ungheria, a Budapest una scuola alberghiera porta il suo nome. Lo Stato gli concesse la massima onorificenza nazionale, la Stella al Merito, durante una sessione speciale del Parlamento. Il Regno di Spagna gli concesse l’onorificenza di Isabella la Cattolica. E persino gli Stati Uniti lo accolsero come un eroe. Oltre agli Stati furono innumerevoli i riconoscimenti di associazioni e fondazioni private. In moltissime città italiane vi sono vie e piazze che portano il suo nome. La cosa che però dovrebbe farci pensare veramente è quanto Perlasca rispose ai giornalisti che lo intervistavano sulle motivazioni e sul perché aveva fatto tutto ciò in Ungheria. Perlasca rispose: “Lei cosa avrebbe fatto al mio posto, vedendo migliaia di persone sterminate senza un motivo, solo per odio razziale e religioso, ed avendo la possibilità di fare qualcosa per aiutarli”. A un giornalista che gli suggeriva “Lo ha fatto perché cattolico”, lui credente anche se non praticante rispose: “No, perché sono un uomo”.

Giorgio Perlasca morì il 15 agosto 1992. È sepolto in un paese a pochi chilometri da Padova, Maserà, dove riposa anche suo padre, ex segretario comunale. Per sua volontà fu sepolto nella terra e con un’unica frase, oltre alla data di nascita e di morte: Giusto tra le Nazioni, in ebraico.

 

 

Giornalista pubblicista, scrittore.