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I lupi amano vivere da lupi, senza radio collari nè centri faunistici!

1 Novembre 2017

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I lupi amano vivere da lupi, senza radio collari nè centri faunistici!

di Ezio Maria Romano
Il lupo è un animale antichissimo, basti pensare che gli studi sul DNA mitocondriale dei canidi ha rivelato che esisteva già sull’ Himalaya 800.000 anni fa e che la stirpe più giovane ebbe origine nel Tibet non prima di 150.000 anni fa. Si immagina sia proprio questa “stirpe boreale”, quella che si espanse successivamente in Europa e nel Nord America, la stessa che diede poi origine al nostro “lupo grigio appenninico” (Canis lupus italicus), una sottospecie (probabilmente ibridatasi con i cani) che oggi abita le zone montuose degli Appennini e le Alpi Occidentali, sebbene il suo areale si stia gradualmente espandendo anche verso occidente.

Il lupo, specialmente se inserito in un branco, è un predatore senza troppi avversari nel mondo animale, minacciatosolo dai felini di grandi dimensioni, in compenso però è storicamente perseguitato dall’uomo, il quale lo considera un concorrente nella caccia della selvaggina (anche se oggi praticata solo per hobby), oltre ad un pericolo per la sua attività di allevamento e per il rischio (spesso sovrastimato) di poterne subire le sue aggressioni. In altri casi non rappresenta altro che uno dei tanti animali da uccidere in Natura per accaparrarsi la sua pelle e il suo trofeo.

Sono ancora pochi gli esseri umani che hanno già capito l’utilità del lupo per il nostro ecosistema, sono molti di più coloro che lo vorrebbero far estinguere per i danni che a volte procura. Se però si desidera perseguire la verità, è necessario ascoltare qualche volta anche il lupo e non solo sempre Cappuccetto Rosso!

Quando circa 12.000 anni fa l’uomo s’inventò l’allevamento del bestiame, catturando animali selvatici per crescerli in cattività, al fine di poter sopravvivere anche nei periodi in cui la caccia non bastava alle sue esigenze alimentari, il lupo esisteva già da centinaia di migliaia di anni!
Ecco perché consiglio agli allevatori di non disperarsi così tanto per la ricomparsa di questo predatore sulle nostre montagne, è meglio invece che si decidano presto ad attrezzarsi a dovere per limitare gli inevitabili danni al loro bestiame. Il lupo esisteva già molti millenni prima che nascesse la tradizione dell’uomo di trarre profitto dall’allevamento degli animali!

Pur considerando il rischio della sua estinzione e senza voler giudicare quanto abbiano fruttato i vari studi scientifici svolti fino ad oggi su questo carnivoro (finanziati in Europa con l’impiego di denaro pubblico), non sono mai stato d’accordo con chi, in nome di una sua ipotetica tutela, lo catturi per poi applicargli un radio collarené con chi scelga di recluderlo nelle aree faunistiche, per poi esporlo al pubblico previo il pagamento di un biglietto.

Secondo la mia opinione, condivisa comunque anche da altri studiosi di questo selvatico, la cattura di un lupo tramite tagliola e la successiva sedazione con lo scopo di applicargli un radio collare prima del rilascio, non è mai priva di effetti collaterali sul suo benessere fisico e psicologico. Pur prendendo in considerazione che le tagliole utilizzate a tale scopo siano diverse da quelle dei bracconieri, poiché modificate e tarate in modo da minimizzare il danno sull’animale, credo sia facile per tutti immaginare lo shock che subisce l’animale nel momento della cattura; considerando anche che per indurlo a finire in trappola si è soliti cospargere il terreno circostante con l’urina di una femmina in estro. In pratica, proprio nel momento in cui il lupo è psicologicamente dominato dal suo forte istinto di riproduzione, rimane intrappolato con una delle sue zampe in un marchingegno legato ad una robusta catena fissata ad un albero o nel terreno. (In Asia centrale si racconta addirittura di lupi che, pur di riacquistare la loro libertà, si sono morsicati fino al totale distaccamento dell’arto imprigionato).

Dopo il rilascio del lupo dotato di radio collare, è molto difficile che lo stesso continui a sentirsi “il lupo” di prima, sia per la brutta esperienza vissuta durante la cattura, sia per lo strumento che si trova legato al collo. Per capire ciò, basta provare ad infilare un comune collare ad un cane adulto che non ne abbia mai indossati prima e osservare la sua reazione di disagio (specialmente se si tratta di un cane con una personalità un po’ diffidente), figuriamoci come può reagire un lupo, esempio lampante di estrema selvaticità. Tant’è che una peculiarità riconosciuta come importante dai ricercatori nell’applicazione di questa tecnica di monitoraggio, consiste proprio nel valutare il peso dell’apparecchiatura: più la trasmittente è leggera minore è il disturbo causato all’animale, ma un peso ridotto comporta batterie più piccole e quindi meno efficaci in termini di durata

Premesso che in trappola finiscono quasi sempre solo i soggetti più deboli (già estromessi dal branco per varie ragioni o ancora giovani e senza troppa esperienza), è assolutamente probabile che questi animali, una volta liberati, si sentiranno a lungo disorientati, impauriti, confusi per essere stati violati nella loro privacy di predatori selvatici e quindi inadeguati a rapportarsi con successo nei confronti di ciò che li circonda. Fino ad oggi, infatti, nessuno ha mai potuto dimostrare gli effetti collaterali dell’applicazione del radio collare e la sua influenza sulla vulnerabilità del lupo nei confronti dei tanti pericoli che dovrà affrontare una volta tornato in libertà. Fra l’altro, con il sistema del radio collare si rischia quindi di orientare gli studi comportamentali su soggetti che rappresentano solo in minima parte le reali caratteristiche della specie, considerato che il normale comportamento del lupo è fortemente legato alla sua stretta convivenza con il branco. Un lupo solitario è solo l’ombra di ciò che potrebbe essere se fosse inserito nella sua comunità naturale, lo dimostra il fatto che, lo stesso sceglie di predare soprattutto il bestiame domestico, sentendosi poco competitivo nei confronti di quello selvatico.

Anche dover vivere all’interno delle recinzioni dei centri faunistici, nati ultimamente in Europa (Italia compresa), nei quali è possibile recarsi a pagamento per osservare i lupi, visionare i documentari su questa specie e comprare i vari gadgets commercializzati, non è sicuramente ciò che desidererebbe il “predatore” dalla sua esistenza. Negli Stati Uniti di “centri per lupi” ce ne sono ormai a bizzeffe! Addirittura, far interagire questi animali con le persone che lo desiderano, purché disposte a pagare le cifre richieste, sta diventando per alcuni un vero e proprio business.

Escludendo quindi i pochi “veri rifugi” (quelli senza scopo di lucro e ad ingresso libero), chiamati “Santuary”, gestiti da volontari e dedicati al ricovero di lupi nati e/o cresciuti in cattività, inizialmente adottati da privati quando erano cuccioli e poi rifiutati poiché troppo difficili da allevare, tutti gli altri “Wolf Center” non sono altro che una rivisitazione moderna dei vecchi zoo, con la differenza che nelle recinzioni (mediamente più spaziose delle solite gabbie) ci sono solo lupi e non animali di altre specie.

I vari centri faunistici di tutto il mondo ospitano spesso sia soggetti reperiti allo stato selvatico che altri allevati in cattività fin dai primi giorni di vita.

Quelli destinati ai lupi selvatici sono caratterizzati da recinzioni particolari (molto alte e robuste, con il lato inferiore interrato almeno di un metro e con quello superiore spiovente verso l’interno), questo per evitare che gli animali possano evadere dalla loro prigione. Le storie raccontate dagli operatori sono sempre le stesse,  molto romantiche e commoventi, ovvero di animali che si erano infortunati allo stato selvatico e che, dopo essere stati recuperati e curati, non sono più stati rilasciati in Natura per la loro impossibilità di sopravvivere autonomamente. Ovviamente, per amore del lupo, è preferibile crederci…

Con i lupi sottratti alla madre fin dai primi giorni di vita, per essere allevati e cresciuti in cattività dagli operatori dei centri, si fa il possibile per renderli socievoli (quasi simili a dei cani) e ben disposti ad accettare le carezze di chi è disposto a pagare del denaro per farlo. Questi lupi vengono abilmente chiamati “ambasciatori” della specie, con la scusa di risultare utili a far conoscere meglio alla comunità i loro parenti che vivono allo stato selvatico, favorendo così una loro migliore accettazione. Esiste una signora in Colorado che li ha addirittura “addestrati” al guinzaglio e si presta per alcune decine di dollari a scattare fotografie di intere famiglie che posano vicino ai suoi lupi, su sfondi naturali particolarmente affascinanti.

Peccato che gli animali di questi centri vengano sempre sterilizzati per facilitarne la gestione: ciò avviene sia in tenera che dopo la prima cucciolata, qualora i gestori ritengano di ripopolare la struttura.

In poche parole, anche con il lupo, utilizzando qualche sorriso smagliante ed una storiella a lieto fine, ancora una volta l’uomo si sta presentando al pubblico come un “grande amante” degli animali, quando in realtà non pensa ad altro che al proprio tornaconto economico. Nel caso di questo “famigerato” quanto affascinante predatore, si cerca di camuffare in ogni modo il suo disagio (…per non dire sofferenza) di essere manipolato da chi se ne occupa o costretto a vivere in cattività, poiché utile a creare varie forme di profitto.

Povero lupo, sembra proprio che in questo mondo non possa trovare pace, fra chi si dichiara palesemente contrario alla sua esistenza e vorrebbe far estinguere rapidamente la specie e chi, pur schierandosi dalla sua parte, si arroga il diritto di intromettersi fra lui e quanto previsto dalla Natura.

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