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Anche gli adulti giocano, ma quando smettono di giocare invecchiano

11 Luglio 2017

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Anche gli adulti giocano, ma quando smettono di giocare invecchiano

Prof. Giuseppe Maiolo, psicoanalista.
In un tempo in cui aumenta la diffusione del gioco d’azzardo e certe attività ludiche degli adulti si configurano come patologiche, può sembrare quanto meno strano parlare dell’importanza del gioco a tutte le età e quindi anche quello dei grandi. Ma va spiegato. Ovviamente. Perché giocare è qualcosa che fanno tutti, anche gli animali, piccoli o adulti che siano. Nella specie umana in particolare il bambino fin da neonato gioca con ogni cosa, in particolare con il proprio corpo. E con questa attività scopre il mondo e le leggi che lo governano. Si apprende e si cresce, dunque, grazie al gioco che è un’esigenza indispensabile, biologica. Anzi è lo strumento più significativo che abbiamo per conoscere la realtà, ma anche per inventarla e far vivere mondi diversi alimentando la fantasia e l’immaginazione.
Tutti ricordano ad esempio il gioco del “Facciamo finta che…” con il quale da piccoli ci bastava un attimo per andare in un’altra dimensione, la finzione che allo stesso tempo permetteva anche di trovare soluzioni e modi di agire diversi. Poi, crescendo, con l’avvento della maturità, il tempo del gioco finisce e prende più spazio la necessità del “dovere” e il principio di realtà che sopravanza la fantasia e il piacere del divertimento.
Purtroppo gli adulti diventano seriosi e dimenticano quel bambino interiore che c’era un tempo. A volte hanno davvero paura di quel fanciullino, tanto caro a Giovanni Pascoli, che si meraviglia e si diverte, si entusiasma e gioca per piacere di giocare, non per competere. Così sovente da grandi facciamo prevalere gli aspetti negativi del gioco che riduciamo a un passatempo infantile. Bisognerebbe invece mantenere attivo il piacere del gioco, continuare a fare esperienze ludiche che stimolano il senso dell’avventura e desiderio di scoprire e esplorare il mondo. Giocare da adulti senza competere, ma per il puro divertimento che produce il gioco è sano. Viceversa una eccessiva dose di competizione alimenta lo stress. E se non lo sappiamo contenere questo produce sofferenza e tensione. Continuare a giocare da grandi vuol dire confrontarsi con altri con lealtà, rispettando le regole e quindi rispettando gli altri e il loro modo di essere. Aver voglia di giocare non vuol dire restare a vita Peter Pan incapaci di sapersi prendere le responsabilità e coltivare l’autorevolezza dell’adulto. È invece fondamentale da grandi saper giocare nella vita anche perché da una parte fa prendere l’esistenza con una certa leggerezza e dall’altra consente di essere creativi, vivaci, capaci di resistere alle difficoltà e soprattutto serve per mantenere solide le relazioni sociali e affettive. La giocosità infatti aiuta a stare con gli altri, sviluppa altruismo e cooperazione e migliora le relazioni professionali. Molti studi dimostrano che il gioco piacevole e divertente, quello che si in compagnia aumenta la capacità di stare con gli altri, riduce il pregiudizio, mantiene vitali e giovani. Non per nulla G.B. Shaw andava sostenendo che non si smette di giocare perché si invecchia, ma si invecchia quando si smette di giocare.

In foto, Giuseppe Maiolo, psicolanalista