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Il sogno semiserio dei bolzanini, essere o non essere (speciali)

3 Novembre 2016

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Il sogno semiserio dei bolzanini, essere o non essere (speciali)

Bolzano è una città strana, piccola in realtà, ma che a volte ragiona da “grande”. Forse questo atteggiamento è derivante dalla sua storia particolare. Senza rivangare i periodi romano o medievale, torneremo alla Belle Époque. Borgomastro Julius Perathoner. Il sindaco bolzanino ebbe sempre l’ardire di pensare in grande. Prima funivia, poi tram, illuminazione elettrica, funicolari, accorpamenti di paesi a Bozen (Dodiciville ad esempio, con tanto di protesta). In quel periodo, quasi magico, d’impero, Bozen fu collegata al Renon (anche qui proteste) da un trenino a cui i bolzanini s’affezionarono moltissimo. La Bozen di quel periodo aveva voglia di futuro. L’Impero assecondò molto il burrascoso ma acuto borgomastro, i bolzanini (anche i non molti italiani presenti, tra cui il prozio di chi scrive) si sentirono meno periferici (allora la competizione con il Tirolo del Nord e Trento era assai accentuata). La guerra spense gli entusiasmi. Vinse l’Italia e Bozen si ritrovò Bolzano, città di confine del Regno. Fino al 1922 non cambiò molto, con l’avvento del fascismo si parlo di “Grande Bolzano”. Il sogno di Mussolini? 300000 abitanti, (non arrivarono così tanti italiani) un nuovo centro (Piazza Vittoria), stazione moderna a Ponte Roma (mai realizzata) e perfino delle iniziative collegate all’Esposizione Universale 1942 (mai realizzata causa guerra). Un Lido (realizzato) tra i più grandi d’Europa per parecchi anni, con annesse feste danzanti, ai bolzanini (tutti) fu data una parvenza di mare. Una zona industriale notevole. Bolzano dal fascismo fu coccolata, inutile negarlo, la matita di Piacentini (che fortunatamente evitò i Portici) la ridisegnò per larga parte. Mussolini le diede importanza strategica ed i bolzanini dell’epoca si sentirono in un certo senso privilegiati rispetto a Trento ed al resto d’Italia. Altra guerra. Siamo negli anni ’50. Bolzano ora è Bolzano/Bozen, tutto doppio, tutto diviso, tutto particolare. A partire dagli anni ’70 “capitale” di una provincia speciale, cittadini speciali quindi. Italiani un po’ tedeschi, tedeschi un po’ italiani, ladini sempre ladini. Bolzano/Bozen è talmente speciale che non ha un dialetto, un po’ veneto (molti gli immigrati da quelle zone), un po’ tedesco, una parlata che spesso il resto d’Italia non coglie. “Milano?” azzarda qualcuno sotto Roma, con molto orgoglio “No, Bolzano”. Il bolzanino va “in città” per andare in centro. L’espressione nacque negli anni ’20 (il forse è d’obbligo), pochi lo sanno. Tedeschi ed italiani, abitanti fuori dal centro, (allora ristretto e rappresentate la città vera e propria) sbrigavano i loro affari “in città”. Se bigi scuola fai “blaun”, parola dall’etimologia incerta. Il bolzanino, del resto, rispetto al resto (scusate il gioco) d’ Italia è un po’ speciale. Il bolzanino, specialmente italiano, è orgoglioso di Bolzano tranne quando è in loco, una caratteristica alquanto particolare, ma ormai radicata. Bolzano/Bozen si scalda ancora per le opere da Belle Époque, vedi funivia del Virgolo partente dal centro storico, vorrebbe nuovamente tram e cremagliere. A volte si spinge oltre, proponendo funivie perfino sopra l’amatissimo Parco del Talvera. Una città italiana che non è italiana ma neanche abbastanza tedesca. Una città architettonicamente razionale e barocca, imperiale quanto contadina, industriale ed operaia. Il bolzanino sa d’essere un po’ speciale, italiano ma non troppo, tedesco ma che tifa Milan, che festeggia comunque la vittoria del Bolzano Hockey. Difficile spiegare cosa abbia in testa il bolzanino, si sente speciale, autonomo, italiano, tedesco. Forse è la forza di questa città, forse il suo limite, in parte costruita per fini politici, dalla statua di Walther al Monumento della Vittoria. Questa è Bolzano/Bozen. Il bolzanino nuota, spesso non scia, ama il mare ma non rinuncerebbe alle montagne, Bolzano/Bozen capitale delle Alpi, in Piazza Erbe con la birra bolzanina, gli spaghetti ed il “Würstel”, come lo storpia qualche italiano. Bolzano ha Messner ma anche la Cagnotto, una spruzzata d’acqua non guasta mai. A Bolzano c’è passato Goethe ma ci ha costruito Caterina De Medici. C’è passato Mainardo ma pure Druso. Batium (poi forse Bauzanum) era un bolzanino ante litteram, sapete perché? Perché forse era latino, ma forse gallo, forse sì, forse, insomma era pure lui a metà. Due metà, che spesso fanno un intero. Da fuori il bolzanino è visto come tedesco (per il resto d’Italia qui lo siamo tutti), poi ci conoscono un po’ meglio ed i giudizi sfumano, italiani infelici d’esserlo, troppo felici d’esserlo, tedeschizzati, in realtà bolzanini. Siamo la più mediterranea città delle Alpi, ossimoro puro. Siamo bolzanini, (ora intendo principalmente italiani) capiamo il tedesco, ma ci vergogniamo ad usarlo, pensiamo in grande ma siamo piccoli, siamo bolzanini, che ci volete fare, i più tedeschi tra gli italiani ed i più italiani tra i tedeschi.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale