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Sherif el Sebaie: intervista a tutto campo

13 Ottobre 2016

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Sherif el Sebaie: intervista a tutto campo

Per la redazione di Buongiorno Sudtirol ho raggiunto in esclusiva Sherif el Sebaie, esperto di Diplomazia Culturale, rapporti euro-mediterranei e politiche sociali di integrazione. Nel 2008 viene ufficialmente invitato dal Dipartimento di Stato USA a partecipare all'”International Visitor Leadership Program”, un programma di scambi professionali per leader internazionali e nel 2015 è stato scelto dall’Università della Virginia, a seguito di bando, come uno dei 10 Fellow del Simposio Internazionale di Arte Islamica. Abbiamo parlato d’ Islam, Italia ed Islam, fenomeni migratori, profughi, terrorismo, i temi più scottanti d’oggi.

Dopo gli attentati dell’ultimo anno, ha la percezione che l’atteggiamento nei confronti dei musulmani sia cambiato – forse anche per responsabilità dell’informazione – oppure le persone hanno capito che i terroristi sono una cosa e i fedeli un’altra o crede di no?

Purtroppo l’opinione pubblica occidentale non è assolutamente in grado di distinguere tra terroristi e fedeli, o meglio ancora tra Islamisti e musulmani. Terroristi e Islamisti vogliono imporsi sull’insieme dei musulmani trasformandoli in cloni che pensano e si abbigliano allo stesso modo. I primi ricorrono alla violenza, i secondi all’islamizzazione graduale dal basso: sono in discordia sui metodi e le tempistiche, ma il loro fine ultimo – l’instaurazione di un califfato – è lo stesso. Basta guardare le foto degli anni cinquanta e sessanta che documentano la vita quotidiana nei paesi musulmani all’epoca in cui la società aveva un approccio più laico per capire quanto gli islamisti siano riusciti a guadagnare terreno, tanto da essere ritenuti un interlocutore valido e persino un’alternativa credibile per la guida dei paesi del Medio Oriente dalle istituzioni e dai media occidentali. Istituzioni e media che continuano a leggere il fenomeno dell’Islam politico attraverso le proprie lenti ideologiche e le proprie categorie di pensiero, con il risultato di aver contribuito a trasformare paesi che erano laici o avviati verso un modello accettabile di laicità in un terreno fertile per il jihadismo violento.

Si definisce un musulmano moderato? Se si, cosa intende per moderato?

Tutte le religioni si prestano ad essere interpretate ed applicate in chiave moderata od estremistica, l’Islam non fa eccezione. Preferisco definirmi un musulmano laico.

Per un occidentale, forse, un musulmano che si definisce “laico” è un caso particolare. Crede di poter spiegare quello che per molti è ossimoro?

La vulgata, sostenuta dagli islamisti e purtroppo recepita anche in Occidente, sostiene che non esista una differenziazione tra politica e religione nell’Islam. In realtà questo è contraddetto sul piano storico dalla differenziazione creatasi nell’epoca imperiale tra strutture politiche (il Califfo, il Sultano) e religiose (Il Muftì, gli Ulema). Quasi tutti i moderni Stati nazionali musulmani inoltre – con poche eccezioni – hanno, in varia misura, propugnato una modello laico di società, derivante sostanzialmente da modelli occidentali, relegando il diritto religioso a questioni attinenti il diritto famigliare. Purtroppo l’avanzare degli islamisti sta gradualmente erodendo questo modello, imponendo la religione sullo spazio e sul diritto pubblico. E chi osa ribellarsi viene fisicamente eliminato dai terroristi. I musulmani laici non sono una minoranza. Lo sono diventati o lo stanno diventando, spesso con la complicità della politica e dei mezzi informazione occidentali, che invece di aiutare i musulmani laici sono impegnati a sdoganare barbe e burkini.

Crede che in Italia vi sia un corso una radicalizzazione? Cosa pensa delle moschee?

Credo che l’Italia non sia immune dai rischi che corrono altri paesi europei, dove il problema ha assunto dimensioni visibili e preoccupanti. Ci sono stati diversi casi di italiani convertiti e di immigrati musulmani residenti in Italia che si sono trasferiti per combattere la Jihad o raggiungere i territori dell’Isis, e questo è già di per sé un segnale allarmante. Queste radicalizzazioni avvengono in maniera autonoma navigando in rete, o grazie a predicatori porta-a-porta, e non necessariamente in moschea. Ma questo non vuole dire che si debba abbassare il livello di guardia sui luoghi di culto, pensando che siano totalmente al sicuro dal rischio di essere trasformati in centri di reclutamento per aspiranti martiri come accaduto anche nei paesi arabi. Il problema non sono le moschee, la loro diffusione e se hanno o meno il minareto, ma a chi sono affidate. Se si vuole non solo onorare i principi costituzionali che distinguono uno stato laico da una teocrazia retrograde, ma soprattutto avere un minimo di controllo, è necessario che ci siano moschee belle e dignitose e che, contemporaneamente, non si rinunci alla costante sorveglianza da parte dello Stato sulle attività che vi vengono svolte.

Il governo propone prediche in italiano ed un registro Imam, lei sarebbe d’accordo?

 Certamente. Benché nella religione islamica nella sua variante maggioritaria sunnita chiunque può fare l’Imam, gli stessi paesi musulmani cercano di limitare il diritto si salire sul pulpito solo a chi ha avuto una formazione in campo teologico, e ultimamente si è discusso persino dell’opportunità di supervisionare in anticipo i testi delle prediche. Non è necessario arrivare a questi stessi livelli di controllo politico in ambito religioso anche in occidente, ma certamente chi vuole fare l’Imam deve essere formato per farlo, e la sua formazione deve includere non solo un’interpretazione attualizzata delle fede islamica ma anche una conoscenza del Cristianesimo e dell’Ebraismo e della lingua del paese.  Questo però sarà possibile solo se si avviano percorsi dedicati per la formazione, anche presso strutture private, sotto la supervisione del Ministero della Pubblica Istruzione o previo esame che certifichi che la formazione che l’Imam ha eventualmente avuto presso il suo paese di origine sia in linea con questi criteri.

Burkini. In Francia il finimondo. Lei cosa ne pensa? Giusto vietare?

Si, sono a favore del divieto, e non per il burkini in sé ma per l’ideologia che lo promuove, addirittura spacciandolo come mezzo di integrazione. In un paese come la Francia, che ha un’altissima percentuale di cittadini musulmani in costante aumento, il rischio di lasciare agli islamisti il monopolio dello spazio pubblico, o quanto meno il controllo su una consistente comunità come quella islamica, è altissimo. E uno dei mezzi a cui gli islamisti hanno fatto ricorso da sempre, anche nei propri paesi di origine, per rendere visibile ed evidente il loro peso politico nella società, intimorendo chi non si allinea, è stato proprio quello di “coprire” le donne, in strada e in spiaggia. La verità è che fino a qualche decennio fa, le musulmane andavano al mare in costume da bagno e l’aumento del numero delle donne convinte dagli islamisti a coprirsi ha trasformato le prime in minoranza costretta a rifugiarsi sulle spiagge degli alberghi frequentate dai turisti occidentali.

Provocazione.Tra vent’anni come vede l’Italia? Vicina alle visioni della Fallaci?

Se l’Italia non si affretterà a governare il fenomeno dell’immigrazione, prevedo scenari peggiori di quelli immaginati dalla Fallaci. Siamo tutti consapevoli che “l’emergenza immigrazione” è gestita da un sottobosco di associazioni e cooperative in combutta con la politica e spesso infiltrate dalla mafia, e questo spiega perché non ci sia nessun interesse serio a cercare risposte efficaci e durature. Il risultato sarà un aumento esponenziale di razzismo e xenofobia, con conseguente crescita proporzionale dei movimenti politici più oltranzisti. Per quanto riguardo l’Islam, gli islamisti sono stati elevati dalla miopia politica e mediatica a legittimi interlocutori, a detrimento dei laici ritenuti poco “rappresentativi” e “folcloristici”.  Sono due estremi destinati, prima o poi, a scontrarsi. Le conseguenze saranno a dir poco apocalittiche.

L’Italia ha sempre avuto un certo credito nei paesi arabi, attualmente ci stiamo muovendo correttamente, secondo lei, nei teatri caldi (Libia in primis)?

L’Italia ha avuto sempre un certo credito nei paesi arabi, ma non si può campare di rendita. In questi ultimi mesi l’Italia ha rischiato – sull’onda del caso Regeni – di danneggiare irrimediabilmente le relazioni con l’Egitto, che non solo è un importante partner strategico e il più importante paese dell’area, ma anche un importante protagonista delle vicende libiche. Il supporto, seppur timido e di secondo piano, dato alla guerra contro Gheddafi è ancora vivo nella memoria degli uomini che combattono a fianco del Generale Haftar, aspirante uomo forte della Libia, e che hanno recentemente bruciato la bandiera italiana e descritto l’Italia come paese dalle politiche neo-coloniali. Il rapporto con l’Arabia Saudita avrà sicuramente risentito dell’invito prima fatto e poi ritirato per la partecipazione come ospite d’onore al Salone del Libro di Torino, e l’apertura entusiastica ai rapporti con l’Iran appena sdoganato sul piano internazionale renderà questo rapporto ancora più teso in futuro. C’è il forte rischio che l’Italia si giochi, in pochi anni e con mosse avventate, un patrimonio di buone relazioni costruito in decenni.

Profughi. Molti parlano d’invasione, lei adotterebbe misure differenti?

Sono stato un immigrato anch’io, seppur privilegiato sul piano sociale e culturale, quindi faccio fatica a definire “invasione” quello che i meno fortunati di me fanno per migliorare il proprio tenore di vita oppure per fuggire dalle guerre che dilaniano i propri paesi. Stiamo vivendo un momento di cambiamento epocale: l’intera sponda sud del Mediterraneo è in uno stato di instabilità, che rischia di aggravarsi, ed è impensabile riuscire a contenere o bloccare l’ondata migratoria che ne consegue. Muri e barriere efficaci esistono solo nei film di fantascienza. L’unica speranza è riuscire a governare il fenomeno, imponendo sin da subito regole chiare ai nuovi arrivati, ma questo non sembra il caso dell’Italia e di molti altri paesi europei dove l’integrazione è intesa come creazione di ghetti dove tutto è ammesso in nome del politicamente corretto. Quest’estate, un’insegnante mi ha raccontato che all’esame di maturità uno studente si è rifiutato di rispondere alle domande di un membro della commissione esaminatrice perché era una donna, e il Presidente della Commissione ha glissato per non “creare problemi”. Anche in Inghilterra ci sono segnali preoccupanti: un alto commissario delle forze di polizia si è detto aperto a considerare l’uso del velo integrale da parte delle poliziotte musulmane in determinati quartieri ad alta concentrazione islamica. Ripeto scanso equivoci: si parlava di un velo integrale, ovvero che copre il volto, e non del velo normale che da pochi mesi è ammesso nelle divise delle poliziotte inglesi di fede musulmane. Questa notizia mi è sembrata talmente assurda, che ho dovuto controllare più fonti e rintracciare l’intervista originale sull’Independent per ricredermi. In Svizzera, invece, ai genitori che non volevano che le figlie frequentassero l’ora di nuoto perché c’erano anche gli studenti maschi, è stata bloccata la pratica per la cittadinanza. Non ci vuole molto per capire quali siano i paesi che stanno ponendo le basi per essere travolti dalle proprie politiche, e quali invece riusciranno a superare senza traumi eccessivi questa fase storica.

Cosa prenderebbe dall’Occidente per darlo all’Oriente e viceversa

Sono di origini greco-egiziane, ho vissuto al Cairo dove ho studiato in scuole francesi e italiane, quindi mi risulta difficile “prendere” da una parte e “dare” all’altra. Mi piacerebbe piuttosto che ci sia la giusta miscela del meglio che offrono entrambi. Non sarebbe bello combinare la puntualità e l’efficienza organizzativa occidentale con la rilassatezza e l’arte di ingegnarsi tipicamente orientale? Il problema però è intenderci preventivamente su quale Occidente si voglia assumere come riferimento, visto che la concezione del tempo che ha un piemontese è diametralmente opposta a quella che ha un napoletano.  E quella di un norvegese non ha certamente nulla a che vedere con quella di un italiano. E’ importante ricordarsi che cosi come non esiste un Occidente omogeneo e monolitico, non esiste neanche un Oriente omogeneo e monolitico. E di certo, non esiste e non potrà esistere che un miliardo e mezzo di musulmani la pensino allo stesso modo, come vorrebbero gli islamisti o come credono molti occidentali.

Marco P. in esclusiva per Buongiorno Sudtirol

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale