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Cinque settimane in Egitto per svolgere un progetto di volontariato con l’associazione AIESEC

12 Ottobre 2016

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Cinque settimane in Egitto per svolgere un progetto di volontariato con l’associazione AIESEC

Di Filippo Badolato

Esistono diversi modi per trascorrere le proprie vacanze estive: una viaggio con gli amici, una settimana in dolce compagnia per luoghi rinomati, un periodo di totale relax a casa…e poi si può decidere di impiegare il proprio tempo libero per fare qualcosa di utile e provare a lasciare un’impronta del mondo. Io, la scorsa estate, ho optato per quest’ultima soluzione e ho deciso di trascorrere cinque settimane in Egitto per svolgere un progetto di volontariato con l’associazione AIESEC.

L’esperienza che ho vissuto nel Paese arabo mi ha permesso di mettermi alla prova ogni giorno soprattutto lavorando sulla comprensione tra due culture diverse, rapportandomi quotidianamente sia con gli studenti di New Horizon (centro di insegnamento di lingua inglese in cui lavoravo), sia con gli altri volontari giunti fin lì per partecipare al mio stesso progetto..

La cosa che ricorderò a lungo, la più sorprendente e piacevole, sono stati gli incontri con i ragazzi del posto, a cui io e gli altri volontari abbiamo offerto un’opportunità unica: basti pensare al fatto che per tutta la loro vita, questi giovani non erano mai venuti in contatto con una persona proveniente da un paese straniero, fatta eccezione per i profughi di origine siriana, o cittadini dei paesi arabi del Golfo; immaginate ora la forza dell’impatto sperimentato da questi ragazzi  nel vedere volontari, quasi loro coetanei, provenienti da varie parti del mondo, dalla Cina, dall’India e dall’Italia. Pensate a quanto questa cosa abbia potuto allargare i loro orizzonti,  aprendo davanti ai loro occhi un mondo di nuove opportunità.

La società che ho trovato in Egitto non è affatto chiusa e violenta, come mi aspettavo prima di partire, anche se ho constatato che le persone tendono a esagerare in qualsiasi cosa facciano, dall’ospitalità, all’amicizia ed anche negli scherzi. Ho capito che molti egiziani vedono il proprio paese come un luogo molto arretrato, sporco, senza opportunità di crescita e sviluppo: ovviamente tutto ciò non può che portare un clima di pessimismo che influenza negativamente la società.

Ogni volta che intervenivo nelle classi per svolgere il mio progetto, cercavo di ispirare tutti i ragazzi a viaggiare, a scoprire nuove realtà diverse da quella in cui erano nati, ed anche se le ragazze sperimentano storicamente, in quei luoghi, maggiori costrizioni sociali per quanto riguarda la possibilità di viaggiare – soprattutto se vogliono farlo da sole -, dopo le mie lezioni sono stati in molti a fermarmi e a chiedermi di fare un selfie con loro, chiedendomi subito dopo l’amicizia su Facebook.

Oggi, dopo il mio ritorno, ho all’incirca un’ottantina di nuove richieste, prova numerica del piccolo segno che ho cercato di lasciare nelle loro vite.

La maggiore sfida da me affrontata nel corso di queste settimane è stata sicuramente il confronto tra le due culture, quella egiziana e quella italiana, spesso antitetiche su tematiche riguardanti il ruolo dei giovani nella società, le relazioni sentimentali, la religiosità e la concezione del lavoro e dello studio.

Giorno per giorno ho cercato di fare mio il modo di pensare degli egiziani, cercando quotidianamente di “disarmare” le mie ostilità culturali con la ricerca di punti d’unione tra due mondi così diversi e spunti di riflessione che mi aiutassero a comprendere meglio la cultura in cui volevo inserirmi.

Ogni giorno vivevo un piccolo momento di sconforto, pensando di essere completamente solo mentre camminavo per strada, eppure sapevo di avere una grande cerchia di amici che mi supportavano e mi aiutavano nei momenti difficili.

Gli stereotipi che ho dovuto affrontare, che mi marchiavano in quanto italiano, si riferivano spesso alle pratiche liberali che noi occidentali permettiamo in quanto ad all’abuso di alcol, che – nella loro concezione – ci rendono un popolo che non riesce a controllarsi negli eccessi. Quella di noi europei che ci ubriachiamo e poi andiamo a derubare le persone, in preda ai fumi dell’alcol, è una storiella molto diffusa tra gli egiziani. Ma sono stato costretto a confrontarmi anche su tematiche ben più calde, quali ad esempio l’islamofobia e la xenofobia che sembra attraversare la nostra società. Mi ha fatto molto male sentirmi dire che l’Italia non è un paese ospitale, mentre un amico egiziano mi illustrava tutte le procedure, molto complicate, per ottenere un visto d’ingresso nel nostro Paese.

Prima della partenza, le mie aspettative sull’Egitto e il suo popolo erano basate prevalentemente sui ricordi frammentari e confusi di una vacanza di famiglia fatta dieci anni prima. Sapevo che il costo della vita era molto basso, che l’acqua che usciva dai rubinetti non era potabile praticamente ovunque, e che nel deserto ci si doveva andare scortati dalla polizia per ragioni di sicurezza. Inoltre,dopo gli ultimi eventi e la corrente situazione politica, mi ero immaginato un clima di controllo totale e un regime di terrore che influenzasse la vita quotidiana dei singoli cittadini.

Quello che ho trovato, invece, è stato un popolo più che accogliente, caldo e generoso (in spiaggia, una famiglia ci ripeteva “Welcome to Egypt” e continuava a chiedere, a me e agli altri volontari, di fare delle foto con loro) e relazioni umane calorose, basate sull’amore fraterno. Mi sono sentito a casa come quando incontri un amico di vecchia data e questo ti accoglie a mani aperte; solo che lì nessuno mi aveva mai incontrato prima, eppure si dimostrava sempre disponibile ad aiutarmi.

Certo, ci sono situazioni in cui è possibile notare una marcata differenza tra le abitudini dei due paesi; assistere, prima in aeroporto e poi in un albergo, a scene di violenza davvero crude, con urla in arabo, calci e pugni, mi ha fatto pensare a come da noi sia più raro assistere a determinate cose.

Cosa ho portato a casa con me dopo il mio ritorno? Un’esperienza incredibile, un’immersione nella cultura araba ed egiziana, con tutte le particolarità e le smanie eccentriche del suo popolo – dalle moto con lo stereo a palla, alle macchine che derapano in mezzo alla strada durante i cortei matrimoniali, gli insegnanti che ti dicono “fai attenzione o ti ammazzo”, ai camion aperti che portano le bevande, ai modi pazzi di guidare ogni genere di veicolo, alla normalità di tenere fin bambini svegli fino alle tre di notte -, ma soprattutto la consapevolezza del ruolo e della responsabilità che abbiamo noi giovani italiani in questo momento difficile di dis-integrazione e incomprensione tra culture.

Tornando a casa, ho promesso a me stesso di continuare a vedere il mondo da una prospettiva più matura, e di non giudicare le cose fermandomi alla semplice apparenza. Non possiamo rimanere immobili in giudizi frutto di stereotipi e chiudere i nostri cuori, ma è nostro dovere cercare di apprezzare le diversità culturali di ogni popolo e impegnarci nel dare ad ogni essere umano la possibilità di mostrare tutto ciò che ha da esprimere.

In foto al centro: Filippo Badolato