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2012. Quando Monti fece a pezzi la legge provinciale sulla toponomastica…

30 Settembre 2016

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2012. Quando Monti fece a pezzi la legge provinciale sulla toponomastica…

Era il 16 settembre 2012 e l ‘ allora consiglio provinciale fece passare la Legge sulla Toponomastica con 20 sì (Svp-Pd), 12 no (le opposizioni), due astensioni (Verdi) ed un’assenza, quella di Elena Artioli (allora alla Lega). Ma esattamente tre mesi dopo, il consiglio dei ministri, presieduto da Monti impugnò il testo approvato dal consiglio provinciale il 16 settembre. Il ricorso alla Corte Costituzionale era un atto dovuto, ma gli argomenti contro l’impianto della legge provinciale nessuno si aspettava avessero una tale portata. Il lungo testo dell’impugnativa (reperibile in rete) non lasciava in piedi praticamente nulla del testo della Svp. Una demolizione totale. La durissima e dettagliata impugnativa fissava l’obbligo di bilinguismo in Alto Adige, blindando di fatto l’attuale toponomastica italiana o come viene definito “il bilinguismo perfetto”. Tutto ciò è fissato da legge statale vigente e non è a disposizione della legislazione provinciale. Insomma l’argomento, per dirla nel linguaggio moderno e terra terra risultò: off topic. Inaccettabile, quindi, il principio dell’uso, caposaldo della legge. L’impugnativa però, prevedeva la doverosa introduzione della toponomastica tedesca (e ladina), in parallelo a quella ufficiale italiana. L’argomentazione del Consiglio dei ministri poggiava su Accordo di Parigi, Statuto e legislazione italiana. Il nostro governo in quel momento trattò la questione da un punto di vista normativo e di trattativa abituale ai tavoli di negoziamento internazionale, ove si tende ad accordarsi con il bilancino, limando il più possibile le questioni e dove soprattutto l’imperativo è aggiungere e non togliere. Ma passiamo ai principi delle norme che Monti applicò senza perdersi in diatribe speculative di carattere filosofico : “Sia l’Accordo di Parigi, sia gli articoli 8 e 101 dello Statuto danno per presupposta l’esistenza storica e l’obbligatorietà giuridica della toponomastica in lingua italiana già introdotta al momento della loro entrata in vigore, in quanto precedentemente codificata dalla relativa legislazione statale tuttora vigente, prevedendo (e consentendo) unicamente la reintroduzione ufficiale e l’utilizzazione su un piano di parità della toponomastica in lingua tedesca (e ladina) in precedenza vietata e rimossa”. D’altronde lo Statuto stesso prevede l’italiano “lingua ufficiale dello Stato”, la parificazione delle altre due lingue è un atto dovuto ma non legittima l’eliminazione dell’italiano. Il metodo di legge invece fu contestato con grande enfasi specificando che “in futuro alcuni toponimi possano essere solamente monolingui e, in particolare, che quelli in lingua italiana già previsti dalla legislazione statale in vigore possano essere eliminati dalla toponomastica ufficiale sulla base del criterio (puramente empirico, peraltro neppure minimamente specificato dell’uso a livello di comunità comprensoriale”. Il criterio d’ uso quindi non può essere utilizzato per intervenire in materia, la Provincia non ne ha le competenze da statuto. Siamo all’oggi. Per evitare un secondo contenzioso, la commissione dei Sei sta (stava) preparando una norma di attuazione ad hoc sulla scorta dei risultati dello studio di una commissione paritetica di esperti nominata dal consiglio provinciale. La commissione sarà composta da 2 esperti del gruppo italiano, 2 del gruppo tedesco e 2 del gruppo ladino. Le decisioni dovranno essere assunte con la maggioranza del gruppo tedesco e italiano, mentre i ladini non voteranno perché per loro è prevista ancora un ’ altra commissione che si occuperà delle valli ladine. Quindi serviranno tre voti su quattro. La commissione dovrà operare secondo “criteri oggettivi”, per la scelta di versione bilingue o solo tedesca delle località. I “criteri oggettivi” saranno fissati dalla commissione stessa. La norma di attuazione allegherà poi l’elenco dei 1527 toponimi già decisi con l’accordo Durnwalder-Fitto e poi Durnwalder-Delrio, che avevano alla base il principio dell’uso storico. La commissione interverrà su tutto il resto della toponomastica. Quindi la legge recepirà la norma e l’ultima parola per approvare o bocciare l’elenco dei nomi spetterà al consiglio provinciale. In pratica sarà il consiglio provinciale a fare e disfare, di fatto recuperando una competenza che per legge, accordi internazionali non le spetta. Questa forzatura inoltre diventa un problema politico che perfino cittadini di madrelingua tedesca vorrebbero evitare. I tempi politici non appaiono maturi per una forzatura del genere, che da più parti verrebbe sentita come umiliante, generando quel risentimento italiano su cui nel passato si è cercato di lavorare e che in questo momento pare in parte superato. L’esame di coscienza lo devono fare un po’ tutti, ma credo in Alto Adige/Sudtirol oggi praticamente nessuno associ a Tolomei e dintorni l’utilizzo di nomi in realtà di semplice uso comune da praticamente settant’anni (il 1946) Buttare a mare molto della convivenza altoatesina per la non applicazione del principio di bilinguismo, appare, nel 2016 globalizzato un ossimoro.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale