Cyberbulli, nuovi eroi dalle caserme al web
Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
La trasmissione PresaDiretta di ieri sera 31 gennaio, ha portato ancora una volta l’attenzione sul fenomeno del bullismo Nel 2014, poco più del 50% degli 11-17enni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Il 19,8% è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese. Per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale. Così dice l’Istat nello scorso mese di dicembre, ma i dati possono essere già diversi.
In effetti oggi la diffusione del Wi-Fi e l’utilizzo di chat come WhatsApp fanno sì che il cyberbullismo sia sempre più un fenomeno diffuso e drammaticamente pericoloso. Si alimenta con il potere dell’immagine e della forza che gli attribuisce la nuova tecnologia della comunicazione. Una volta il comportamento violento del bullismo, peraltro tollerato in alcuni contesti chiusi come i collegi e le caserme in quanto considerato un elemento del processo di crescita, si perpetrava nascostamente dietro lo sguardo degli adulti. Sfruttava i luoghi isolati e le stanze appartate perché gli atti persecutori avessero come protagonista solo le vittime e al massimo il piccolo gruppo degli alleati del bullo che così manteneva una corte di servitori silenziosi e ossequienti. Il piacere derivava dal poter essere leader di una “banda”, anche piccola, ma che rimaneva nell’ombra e sconosciuta ai più.
Oggi invece il cyberbullo cerca il massimo di visibilità. Più fa conoscere la sua forza e le sue imprese e più è popolare, più si costruisce la fama di “eroe”. Contemporaneamente la vittima è sempre più vittima e stigmatizzata, emarginata e isolata perché collettivamente derisa e biasimata. La comunicazione digitale e le immagini delle persecuzioni veicolate dalla rete costruiscono in un tempo rapidissimo sia la “fama dell’eroe” di turno che la disperazione di chi subisce e si sente progressivamente impotente.
Lo smartphone diventato ora lo strumento dei “selfie” che narcisisticamente sostiene la ricerca della propria immagine, è oggetto persecutorio che può moltiplicare in un attimo popolarità e angoscia. La rete fa sì che platea degli spettatori diventi potenzialmente illimitata. Sconfinata. Questo incrementa la tendenza del bullo a ripetere le azioni aggressive e nello stesso tempo riduce in maniera consistente la percezione del danno. In assenza di un contatto reale, il cyber-persecutore diventa freddo e crudele, incapace di empatia e l’anonimato, dietro cui in rete è possibile nascondersi facilmente, fa sentire protetti e alimenta l’illusione di non aver alcuna responsabiltà.
Contemporaneamente le scene di aggressioni riprese e postate su un Social, cliccate centinaia o migliaia di volte, se da una parte aumentano il sentimento di potere del cyberbullo, dall’altra moltiplicano l’angoscia di chi è vittima ma anche di quelli che possono temere di diventarlo. L’azione di violenza veicolata da Youtube rimane indelebile o difficile da cancellare dalla memoria di chi vede. Una volta in Rete nessuno può dimenticare le imprese del bullo ma neanche il corpo della vittima e la sua prostrazione. Questa è la vera azione persecutoria che fa la differenza con il passato, con il bullismo tradizionale. Quasi impossibile per la vittima nascondersi, scappare e salvarsi. Le offese che circolano rimangono, le diffamazioni sono visibili a tutti così la vergogna e l’umiliazione si moltiplicano all’infinito.