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Brexit? L’ Europa che non fu

21 Febbraio 2016

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Brexit? L’ Europa che non fu

Brexit? L’ Europa che non fu

A poker esiste una massima che aleggia sui tavoli verdi: “se non individui il pollo tra i giocatori significa che lo sei tu”. Chi sarà “il pollo” dopo le quaranta e più ore di trattativa tra Gran Bretagna e Ue?  Lo scopriremo il 23 giugno 2016, data storica. Quel giorno infatti gli inglesi decideranno se rimanere seduti al tavolo Ue od alzarsi. Cameron si gioca la carriera politica su questo tema, rischia moltissimo visto che metà del proprio governo è per l’uscita, nelle ultime ore inoltre anche il sindaco di Londra ha fatto sapere di votare l’exit. Il premier inglese rivendica con una certa foga che grazie alla sua battaglia la Gran Bretagna avrà “uno statuto speciale”, che “non farà mai parte del super Stato europeo”, né mai di “un esercito europeo”. E ancora, sostiene che il Regno Unito ha costretto l’Europa a “tagliare la burocrazia“, anche se è esattamente uno dei punti del programma di Jean-Claude Juncker. E assicura che Londra ha “riconquistato il controllo” sulle sue frontiere, riuscendo a bloccare gli abusi dei lavoratori europei che “sfruttano il nostro sistema di welfare “(tra cui ci sono anche gli italiani). Lavoratori europei che al referendum non potranno votare, ne avranno diritto invece gli abitanti del Commonwealth, in pratica australiani e neozelandesi se volessero potrebbero farlo. In compenso il premier britannico martella sul recupero di sovranità, sul fatto che in una futura riscrittura del Trattato sarà esplicitamente scritto che il concetto di “unione sempre più stretta”, su cui si fonda la costruzione europea sin dai Trattati di Roma del 1957, non si applicherà più alla Gran Bretagna. Insomma classico atteggiamento inglese: un piede dentro e due fuori. Al solito hanno deciso, proposto e discusso i temi salienti Francia e Germania, la solita Ue dei “due”. In realtà le concessioni proposte non hanno alcun valore, l’idea era quella di non far tornare Cameron a mani vuote. L’idea è quella d’aspettare l’esito del referendum, appositamente anticipato. Se l’Inghilterra dovesse restare, si darà seguito alle concessioni (che dovranno essere scritte da zero…), altrimenti il posto dell’Inghilterra verrà preso dalla Francia, che è potenza nucleare, piaccia o no conta più quello delle parole, dei girotondi e dei concerti proposti ad ogni problema in Italia, il mondo reale va per la sua strada ed il nostro paese pare sempre più ai margini. Nessun giornale europeo riporta le dichiarazioni di Renzi, il vero grande assente del summit. In questi casi è lapalissiano quanto poco interessi il fronte italiano all’Europa, gli unici a non comprenderlo siamo noi, che spesso ci dichiariamo orgogliosamente europei, convinti utopicamente che quest’unione sia basata su valori forti, morali ed oltre l’economia. Ieri mentre Cameron festeggiava il taglio di welfare per i “non inglesi” ed il ripristino delle frontiere (sempre da accordo) al Brennero duecento e più persone manifestavano contro la decisione del governo austriaco di chiudere i confini. In Europa la protesta italiana è passata quasi inosservata, il nostro governo non ha attivato nessun canale diplomatico “forte” verso gli austriaci, impegnato a guadare la difficile impasse riguardante le unioni civili, quasi dimentico del difficile momento storico. Questo provincialismo tutto italiano ha meravigliato Berlino quanto Parigi, ben felici delle nostre “assenze”. Con Cameron si poteva osare di più, ma non ci sono le condizioni, il nostro credito a Bruxelles è nullo o quasi. L’Austria ha capito da un pezzo l’andazzo europeo e da ieri (giornali austriaci alla mano) la decisione di chiusura è descritta come inevitabile, il popolo austriaco non si sente tutelato dalla Ue e soprattutto non crede più alle promesse di Bruxelles, questa la triste realtà. Juncker ormai vive tra i bizantinismi, appare l’ultimo basileus di Costantinopoli, il quale con i turchi al Corno D’Oro amava discutere animatamente riguardo il sesso degli angeli. Dopo la Grexit, la Brexit, in neanche dodici mesi l’Europa sembra investita da un moto disgregante, non controllabile e viscerale, che la rende vulnerabile e debole, nuda e bottino facile per il resto del mondo che non aspetta altro che azzannarla, ma agli europei non è chiarissimo. Lo spagnolo, il francese, l’italiano ed il tedesco possiedono ancora identità diverse, non si vedono sotto lo stesso tetto, il vero punto è questo, ma una più seria cooperazione sarebbe possibile. A questo aggiungiamo uno spirito occidentale a pezzi, spesso confuso, che ama cospargersi il capo di cenere riguardo i peccati mondiali e che non si accorge delle pericolose infiltrazioni estremistiche che invadono le conquiste sociali europee, che mettono in discussione diritti per noi secolari, che utilizzano la democrazia a loro gioco esclusivo, che hanno come obiettivo primario la caduta dell’Europa come la conosciamo. Gli inglesi (al solito più proiettati in avanti, bisogna dar loro atto) hanno colto alcuni di questi tragici aspetti, non lo ammettono ma hanno paura del nostro scarso decisionismo, del nostro non essere, ed infatti tentano di chiamarsi fuori, senza comprendere però che questa sfida epocale da soli forse non la si vince, specialmente con il capo cosparso di cenere.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale