Scorrendo i ritratti dell’artista Calabrese sembra d’aprire un libro di storia contemporanea ad “istantanee”. Calabrese ci parla con i suoi ritratti dell’Italia d’oggi, dall’ astronauta Samantha a Vittorio Feltri, tutti protagonisti dell’odierno Belpaese. Calabrese coglie l’attimo, immortala pezzi d’Italia, con personaggi amati, odiati, discussi, chiacchierati, ottusi, simpatici e molto altro, legati solo dall’essere nati tra il Brennero e Lampedusa. Così vicini, cosi diversi. La storia del nostro Paese non poteva essere meglio rappresentata, il fulcro dello stivale è essere diversi. Essere italiano è fare parte di una costellazione di ragionamenti, pensieri e perfino sogni. Siamo un paese antico ma da sempre lanciato nel futuro, abbiamo creato l’Europa, poi siamo caduti, ci siamo rialzati e riciclati, da generali a pittori, poeti e scienziati. Oggi siamo ancora cosi. Voliamo tra le stelle ma siamo attaccati a polemiche provinciali che chi vive all’estero non comprende, siamo geni incompresi, a volte frustrati, a volte radiosi. Siamo italiani. Siamo figli delle nostre contraddizioni, questo si evince dai visi ritratti dall’artista Calabrese, visi che ci raccontano nelle loro espressioni tutte le sfumature del nostro Paese. Siamo Cesare, Dante, Colombo, Garibaldi, Mussolini, Togliatti, Andreotti, chi siamo? Già noi siamo allegri, malinconici, a volte nostalgici, geniali quando richiesto, onesti ma sempre sul chi va là con lo Stato, sembra ancora aleggi sulla Penisola lo spettro della burocrazia romana, poi rinascimentale, poi savoiarda, ma sempre burocrazia. La mostra è una passeggiata nel concetto stesso d’Italia. Primo passo. Prima persona, una licenza poetica anche se questo è un pamphlet, ma non biasimatemi, sono italiano. Quindi partiamo. Ti trovi davanti il ritratto di Vespa, megafono politico, sbuffi, “tutti uguali” pensi, t’incupisci. Ci pensa Papa Francesco a farti sbocciare il sorriso, solare, simpatico, a volte istrionico, italiano d’adozione, oltre l’etichetta. Ci piace per questo del resto, nell’animo siamo anarchici, lo fummo perfino in dittatura, il pensiero fu oggetto d’interpretazione durante lo stesso regime, nato per andar contro l’ordine precostituito e presto stanco perfino del proprio, solo in Italia… Papa Francesco ci cattura perché contro le regole e leggermente sfacciato. Va tutto a rotoli ma lui c’è, dopo la caduta dell’impero romano i papi sono stati la nostra croce politica e la nostra speranza di salvezza. Il Papa c’è da sempre, in Italia è una delle poche istituzioni a cui siamo affezionati, credenti e non, anticlericali e clericali, comunisti e fascisti. Una certezza nel nostro caos secolare. Un altro passo ed appare Sgarbi. Istrionico, sfacciato e polemico. Lo odi o lo ami. Come odi o ami l’Italia. Non ci sono vie di mezzo. Abbozziamo un sorriso, Samantha. Donna gentile che ha portato l’italianità nello spazio (insieme al caffè). Non ci prende come altri, ma la ammiriamo, dolce, gentile, viso da mamma. Tenera come le nostre, che sa fare il proprio e mai sbaglia, che ti accarezza quando sbagli tu e poi sorride. Ci sentiamo un po’ Pascoli, sentimentali, la figura femminile ci illumina, istituzione sott’intesa, ci sentiamo protetti, del resto l’Italia è una donna. I ritratti sono molti, aumento il passo, spunta l’attore Scamarcio. Faccia da italiano, aria da presuntuoso, ci si arriccia il naso ma nei suoi occhi dipinti un po’ ci rivediamo da giovani e giovanissimi. Battuta pronta, motociclisti quanto basta ed anche senza moto, misteriosi quel tanto che piace alle donne. Il nostro lato da Casanova non è mai morto, assopito, senza mandolini, ma ancora molto in voga. Siamo anche questo. Poi si passa a Simona Ventura. Donna forte, che sa quel che vuole, la ami se ne sei in grado, o soccombi. Non incroci lo sguardo, passi veloci, il nostro lato grintoso al femminile. Una grinta che permise alla Montessori d’essere la prima donna medico d’Italia. Già Maria scalò l’impossibile, contro tutti e tutto, ci riuscì, tipico del nostro carattere, andare a vincere i mondiali da sfavoriti. Un balzo e c’è Zichichi, un genio. Il volto buono della scienza. Il professore che tutti vorrebbero. T’interroga, risponde lui e mal che vada prendi sei. Non come il severo Veronesi, il medico da cui non vorresti mai andare. Lineamenti duri, sguardo di ferro, carisma da vendere. L’italiano che sa di sapere, che non ricorre alla furbizia per risolvere problemi, che è intelligente e se ne vanta, ci dà sicurezza, anche troppa. Un passo, un altro ed ecco Cacciari, il filosofo, il politico e molto altro. Non condividiamo tutto ma ci sta simpatico, lo sguardo buono ma severo. Il professore con cui ti confidi ma che non ti perdona niente. Lo apprezzi per la sua onestà intellettuale. Italiano geniale, a tratti spensierato, tante idee ottime ma spesso non compreso. A volte ci succede con gli esteri, li stupiamo, non ci capiscono, li stupiamo nuovamente, si rimangono male, ci invidiano. Esco da questo viaggio, mi sento borbonico, savoiardo, un po’ romano, geniale come Da Vinci, affascinante come Casanova, a volte Maramaldo. Mi sento nudo. Mi sento italiano. Questo suscitano i tratti dell’artista Calabrese, che coglie l’attimo del nostro animo, lo fotografa e ce lo sbatte in faccia!
L’artista
Claudio Calabrese alla tenera età di undici anni, sotto la guida della pittrice e gallerista d’arte Laura Boros compie i suoi primi studi d’arte. A tredici anni inizia a frequentare settimanalmente l’atelier di Peter Fellin, con cui collabora intensamente. A quindici incontra Michael Rasp, allievo di Daniel Spoerry. Studia pittura privatamente nel suo studio per diverso tempo. Accede all’Accademia estiva internazionale di belle arti di Salisburgo per studiare con Gerhard Rühm disegno e collage ad appena quindici anni. Dipinge ciò che esprimiamo, senza maschere.