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ITALIA IN GUERRA? SI! NO! FORSE! VEDIAMO!

22 Novembre 2015

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ITALIA IN GUERRA? SI! NO! FORSE! VEDIAMO!

Storia particolare d’Italia, da Garibaldi a Gentiloni

Dopo l’impero romano il buio fino al Rinascimento, poi tanta cultura ed una idea: Italia. “Espressione geografica!” disse qualcuno (Metternich), rimangiò tutto fino al dolce. Era il 1848. Rivoluzioni in mezza Europa. Bisognava “fare l’Italia” ci dissero, ci arrivammo nel 1861 tra luci ed ombre e con i soliti eroi un po’ stereotipati, Garibaldi il generale, Cavour lo statista e Mazzini l’idealista. Quest’ultimo, illuminato e proiettato verso l’idea d’Europa rimase inascoltato. I Savoia si occuparono di “fare l’Italia”, lo fecero maluccio, alla francese, chiedere ai meridionali. Ma tra un presunto brigante ed un piemontese alieno si arrivò al 1911, cinquant’anni cara Italia. Tutti felici? No! Eravamo gli unici senza colonie e ci buttammo in Libia per questioni di prestigio (in Etiopia era andata malissimo). 1912, guerra ai turchi, Pascoli che diventa guerriero (già proprio lui, quel dolce poeta che la maestra ci mostrò triste e mammone, dolce più dello zucchero) e scatolone di sabbia portato a casa (cosi si definì la nuova conquista da parte socialista) nonostante un certo Mussolini sdraiato (insieme al fratello politico Nenni) sui binari per evitare ai nostri soldati di partire. Il futuro Duce era nella fase socialista e pacifista (convinto per giunta, non solo di bandiera) e passò un periodo di detenzione a causa di questo fatto. Ricordava quel periodo con affetto la figlia, coccolata dallo “zio” Nenni durante le visite in carcere. Un soffio e siamo al 1914. L’Italia è neutrale. Tutti felici? No! Noi siam guerrieri ci disse Cadorna. Armiamoci e partite. Tra pidocchi, cambi di generale (grazie a Diaz, espressione su cui in trincea si scherzò molto) ed azioni eroiche portammo a casa la partita. L’Austria perse le penne sul Piave, Rommel ci rosolò a Caporetto e dintorni ma fu il popolo italiano a vincere, uno sforzo fisico e di cervello. Da sfavoriti ci prendemmo piatto e Vittoria, mutilata, ma Vittoria. Tutti felici? No! Vincitori ma affamati, D’Annunzio che scalda le anime, lo fa a livello politico, s’inventa Duce e prende Fiume. Avventura risorgimentale e gustosa per l’istrione d’Abruzzo, il canto del cigno della gioventù, il Vate andrà poi in pensione. L’Istria all’Italia, Fiume pure ed i pozzi in Iraq ad Inghilterra e Francia. Tutti felici? No!

Ci vestimmo di nero, marciare per non marcire. Mussolini nuovo Cesare, osannato all’estero (pochi sanno che scrisse articoli su articoli per giornali inglesi e perfino americani, oltre alla nota amicizia con Churchill) ed in patria. Matteotti ci rimise la vita, comprese le finalità del romagnolo prima di tutti, ci pensò Dumini, delinquente di professione, probabilmente andando contro al volere dello stesso Duce che non avrebbe mai voluto creare martiri. Regime. Forza. Motti. Arriviamo al 1936. L’Impero (inventato da noi 2000 anni prima) torna a Roma, le sproporzioni sono enormi ma l’italiano medio si sente inglese, gongola, luccica e si specchia nel Duce (perfino i comunisti esuli s’offrirono di combattere in Etiopia). Gli italiani all’estero orgogliosi come non mai, fuori i cani e gli italiani dai pub? Chi ha l’impero non può stare fuori. Il Duce prese il posto dei Santi sui caminetti di mezza Little Italy.  Siamo al sole, e che sole! “Faccetta Nera”, in una canzone la nostra nazione. Tutti contenti? In realtà si, Hitler però era già in rampa di lancio. Il Duce le provò tutte prima d’entrare in guerra (rifiutò perfino un premio Nobel alla Pace nel 1938) ma nel 1940, contro gli stessi gerarchi (Balbo e Ciano su tutti) l’Italia “deve vincere” contro le democrazie “plutocratiche”. Africa, Russia e Mediterraneo. La nostra flotta senza nafta che tiene a bada la Royal Navy per tre anni, gli italiani che si tolgono il pane di bocca, i bombardamenti (chiedere ai nonni ancora in vita) e le nostre donne mamme di sera, lavoratrici di giorno, il marito al fronte insieme a qualche figlio grandicello e tanti, troppi, pensieri. Nel 1943, una non resa, una guerra civile, un paese diviso. Altro soffio sulla penisola, un soffio di morte, lutti, il Duce scaricato da tutti, damnatio memoriae, all’italiana però, ovvero una riverniciata e tutti felici. Si lo fummo. Dal 1945 all’Olimpiade di Roma ci tirammo su le maniche: Italia paese industrializzato moderno, in solo quindici anni tra le prime otto potenze economiche mondiali. Invidiati da molti, copiati da altrettanti. Nacque a quel tempo il famoso “stile italiano”, “la bella vita” ed il “made in Italy”, da guerrieri ad artisti, come nel Rinascimento ma con sottofondo di Modugno, l’Italia vola “nel blu dipinto di blu”. Gli italiani all’estero nuovamente a testa alta: dalle miniere del Belgio all’Australia, dalla Francia alla Germania passando per gli Usa. L’uomo sbarca sulla Luna e gli italiani si gustano l’evento in televisione, ormai presente in ogni casa italica, progresso anche quello. Tutti felici? Non proprio, anni di piombo. Terrorismo di matrice politica, la colonna sonora del poeta sonoro Lucio Battisti lascia un velo di tristezza. Altri soffi e siamo ai favolosi anni ’80, superiamo l’Inghilterra, vediamo gli Usa con occhi diversi, basta vassallaggio, Ustica ci trafigge il cuore. Fortuna che Pertini (e i ragazzi del 1982) lo riscalderanno in una estate d’esaltazione collettiva. Già il tricolore torna di moda, per motivi sportivi. Per l’Inno c’è tempo. Craxi a Sigonella dice no al Delta Force e schiera i Carabinieri. Caso diplomatico ed Italia con i muscoli di nuovo gonfi. Durerà? Si fino al 1992. Il crollo del sistema Italia, tangentopoli e le stragi di mafia. Due eroi dello stato, Falcone e Borsellino. Gli italiani ancora nel benessere ma vuoti, distaccati. Nel 1994 inizia l’epopea del Silvio nazionale. Lo batterà solo Prodi, due volte, ma non riuscirà praticamente mai a far da collante ad una sinistra post PCI litigiosa e senza veri leader. L’ Italia mantiene la sua posizione economica fino al 2008, tra alti e bassi siamo sempre li. Italiani, stanchi a volte d’esserlo, tranne al mondiale di calcio del 2006 ovviamente, tutti felici, tutti con Mameli, tutti a cantare nelle notti magiche di una vittoria sportiva. Ma durerà poco, molto poco. Tante lacrime a causa della crisi economica. Disoccupazione, giovani sbandati e demotivati. Siamo ai giorni nostri. Parigi che non è distante da Roma. Ci sentiamo nudi ma come nel 1848 la parola guerra ci fa paura. Ci hanno minacciati più volte, siamo sull’orlo di una crisi di nervi tra colossei in fiamme e chiese distrutte, video virali di ciò che ci viene promesso. I nostri militari all’estero, siamo il paese, dopo gli Usa, che gestisce più missioni, ma sono di pace continuiamo a dirci. Abbiamo i reparti speciali migliori dei Navy Seals ci ricorda Obama in un discorso ai suoi di militari a West Point, avete due portaerei attive, ci rammenta, solo Usa e Gran Bretagna ne hanno di operative di più. Hollande ci chiede di cooperare e noi ci offriamo di sostituirlo in Mali, il ministro Fabius sbotta, la Mogherini non commenta. “Che si fa?” si chiede Gentiloni, nessuno può garantire sicurezza, però i nostri 007 sanno il fatto loro, siamo l’unico paese occidentale senza attentati sul proprio suolo nazionale ci ripetiamo da giorni, “tocchiamo ferro “sembra pensare il ministro dell’interno. Siamo sempre stati un paese cosmopolita fin dai tempi di Cesare (che non per nulla fece senatori dei Galli Cimbri) ma ancora non abbiamo attivato canali di comunicazione con la comunità araba d’Italia, già gli arabi, simili a noi, li conosciamo bene, dal Rinascimento appunto. Li combattemmo ma ci alleammo per fini commerciali, molte parole della nostra lingua arrivano direttamente da loro. A Lepanto fu italiano l’ammiraglio che sbaragliò la flotta del Sultano. Ma la cooperazione non mancò. Fibonacci, italiano mercante di Libia, intuì il loro sistema di numerazione e lo diffuse in Europa. Negli anni ’80 del secolo scorso i nostri soldati furono molto amati in Libano, più tricolori sventolanti a Beirut che a Milano in quel periodo, un credito nell’area gettato alle ortiche. I francesi sfregiati vanno aiutati, basterà aiutarli a leccarsi le ferite? Secondo Putin no. Noi sempre sul filo del rasoio, sempre indecisi, poeti o guerrieri, generali o scrittori, musicisti o fucilieri? Ad implorare lo stellone, ci basterà? Ci salverà? Tutti felici? Chi vivrà, vedrà, del resto, siamo italiani e qualcosa ci inventeremo.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale