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GABRIELE D’ANNUNZIO vs OSCAR WILDE: sfida all’eccesso

18 Settembre 2015

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GABRIELE D’ANNUNZIO vs OSCAR WILDE: sfida all’eccesso

I celebri letterati Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio, sono cronologicamente prossimi, precisamente appartengono entrambi alla seconda metà dell’Ottocento, ma collocati rispettivamente in Inghilterra ed in Italia.

Entrambi i poeti rappresentano i massimi esponenti del movimento artistico e letterario dell’Estetismo, un prodotto del tardo Romanticismo con tendenza al Decadentismo.

Il principio fondamentale dell’Estetismo “l’art pour l’art”, consiste nel vedere l’Arte come rappresentazione di sé stessa, indipendente dall’epoca o luogo che la circonda. L’Arte fallisce nel momento in cui abbandona l’ideale per la realtà, sono vita e natura a doverla imitare e non il contrario. Enunciato che D’Annunzio interpreterà alla lettera.

L’Esteta trasforma la sua vita in un’opera d’arte, inneggiando il culto del bello, sorpassando leggi morali, nell’estenuante ricerca di piaceri e vizi, spesso attraverso l’uso di droghe e alcol. Disprezzando la volgarità borghese (voi mediocri borghesi, avvolti da abiti da abiti vili), la vita quotidiana, la realtà conformista dell’epoca, isolandosi irrimediabilmente nella solitudine e dedicandosi esclusivamente ai suoi obiettivi sovramentali: una forma mentis estetica insomma.

Per i due letterati, l’eroe non è semplicemente una fantasia dell’artista, ma una impersonificazione dei suoi ideali, considerato che l’autore vive nella realtà descritta, per cui confrontandoli è possibile chiarire i modelli di pensiero d’ entrambi.

Andrea Sperelli di D’Annunzio e Dorian Gray di Wilde sono personaggi molto affini tra loro, entrambi dandy, ossia esteti che ostentano eleganza con uno stile di vita sfrenato, individualista e dedito all’apparenza e che si lasciano trasportare dalla decadenza della loro epoca. Presentano però delle differenze, dovute a influenze letterarie e società appartenenti diverse.

Sperelli e Gray sono due giovani che dedicano la propria vita alla ricerca di piaceri di qualsiasi genere, intellettuali quanto materiali, uno lo fa all’italiana, l’altro all’inglese. Il primo, è dedito maggiormente al piacere derivato dalle molte relazioni amorose, senza complicazioni mistiche, con un Decadentismo provinciale, nonostante esperienza e fama Europea. Il secondo trascorre vent’anni in un’esistenza compromettente e sinistra, sperimentando piaceri esagerati e addirittura “diabolici”, condizione dettata dalla differente situazione politica, in quanto l’Inghilterra era suggestionata dall’utilitaristica e moralistica epoca vittoriana, ovvero l’impero prima di tutto ed unica soluzione politica riconosciuta.

Gray, da perfetto dandy, viene descritto come un dilettante superficiale, per Wilde infatti, il vero esteta è un vecchio con la faccia da giovane, una maschera che nasconde i segni del tempo e cela la corruzione. Mentre Andrea è giovane, ma con evidenti segni del suo vissuto e non se ne vergogna.

Dal confronto emerge principalmente un’affinità distinta esclusivamente da una maggior esagerazione in campo esperienziale e di pensiero da parte di Wilde. Infatti l’eroe inglese arriva a godere di situazioni eccessivamente mistiche e demoniache, portandolo ad una caduta rovinosa su ogni piano, con conseguente morte tragica. L’arroganza e l’anticonformismo di Wilde causano vendette dell’aristocrazia londinese che lo fa incarcerare per oltraggio alla morale, per omosessualità, portandolo alla sconfitta.

D’Annunzio risulta leggermente più moderato (o più scafato?) rispetto all’inglese, nonostante dedichi la sua esistenza al culto del bello, in lui c’è la costante di trasformarsi in un personaggio che coincida con la realtà. Infatti, anche se con un atteggiamento di superiorità nei confronti della massa, partecipa attivamente alla vita politica del tempo, rappresentando una contraddizione con il comportamento del tutto individualista del Decadentismo. Ma la genialità del personaggio è tutta qui: creare la massa individualistica, ovvero essere un capitano di ventura imitato, quasi venerato. La prova generale sarà a Fiume, lì il Vate italiano dimostrerà la sua forza intellettuale, dimostrandosi leader di folle. Mussolini ne trarrà punto e punterà moltissimo su questi aspetti. Il Duce supererà il Vate, di fatto diventando il primo dittatore polivalente dell’era moderna. Scrittore, amante, pilota d’aerei, sportivo e tanto altro. Il Duce esagerò e si ritrovò malato di cesarismo, l’Italia agganciata alle mire teutoniche, il tutto condito da tragedia finale, purtroppo traslata a tutto il popolo italiano. L’Italia in quel periodo visse all’eccesso, caso unico al mondo. Ma del resto in un paese in cui nacque prima la letteratura e poi la nazione non deve meravigliare.

Torniamo ai due artisti. Chi interpretò meglio l’estetismo? Chi si avvicinò di più al vero dandy? In realtà entrambi, a modo loro, uno all’inglese, gusti raffinati, mai banale, in decadenza come l’impero britannico. Wilde squarciò la società inglese mettendola allo specchio, facendole annusare la prossima decadenza. L’italiano invece vuole emergere, come l’Italia, nazione nuova ma allo stesso tempo antica, provinciale nei modi, potenza in campo culturale. L’esuberanza di D’ Annunzio conteggiò la società italiana, vogliosa d’essere protagonista, l’Italietta giolittiana stava ormai stretta. La Grande Guerra vittoriosa la porterà ad essere “più” potenza ed il fascismo le darà vigore imperiale (anche se abbastanza fittizio, ma simbolicamente rilevante). Ne consegue che la preferenza fra i due artisti può essere riconducibile solo al gusto personale: in quanto entrambi rappresentano per eccellenza l’emblema della corrente Estetica e le loro opere sono riconosciute ugualmente a livello mondiale.

“L’unico modo per liberarsi da una tentazione è cedere ad essa.”

Oscar Wilde

Denise Bortolotti Blogger

Marco P.

 

 

 

 

 

 

 

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale