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I figli del Sol Levante: Samurai del sole

6 Agosto 2015

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I figli del Sol Levante: Samurai del sole

6 gennaio 1945, Hiroshima. Una goccia di rugiada scendeva dal viso di Nami, una rugiada fresca del mattino che fa venire i brividi, ma emoziona, il sapore salino di una lacrima che solca il viso di una ragazza giapponese nata e vissuta nel nome della Grande Asia, del grande sogno imperiale giapponese. Nami (onda) guarda il cielo, Akira (chiaro) è nelle Filippine, pilota dell’aviazione imperiale. Nami e Akira hanno un sogno: che Yorii (sogno), la loro figlioletta di appena un mese, possa crescere in armonia con la natura secondo la tradizione nipponica. I Samurai nel Giappone degli anni ’40 non hanno valenza politica ma il loro spirito è forte, nel loro animo la guerra imperiale è assurda, loro, abituati alla difesa della propria terra, non concepiscono la conquista di terre altrui. Ma un Samurai non tradirà mai il proprio imperatore, come a fine ‘800 (durante la modernizzazione del paese che, di fatto, estirpò il concetto stesso della tradizione Samurai) preferisce a ciò la morte. Lo spirito nobile degli antichi Samurai è fortissimo nelle famiglie di Akira e Nami. Akira sa che il suo destino è segnato, la sua squadriglia è destinata a d attaccare le navi degli Stati Uniti come reparto Kamikaze (vento divino). Il suo Zero era già stato assegnato a un altro pilota, per Akira un Ki-115 armato con una bomba da 800 kg in grado di spezzare una corazzata in due parti. L’obiettivo la Uss Columbia, nel golfo di Lingayen. Il nonno di Akira era stato un Samurai, aveva dedicato la propria vita all’imperatore e al Giappone. Nonostante ciò nella sua vecchia casa di Hiroshima non approvava la nuova strategia degli alti comandi, l’onore del Giappone in cambio della vita della migliore gioventù. Sperava in cuor suo che il nipote non venisse utilizzato a tal scopo. Il 6 gennaio del 1945 Akira all’alba preparò la sua mente all’impresa che lo attendeva. Un sole tiepido all’orizzonte, la condensa dell’abitacolo sulla sua fronte e nella mente il volto di Nami e Yorii, la figlia che non vedrà mai. Già Nami, la bella e dispettosa Nami, sorridente e smaliziata, uno sguardo bastò loro per capirsi fin da adolescenti. La felicità. L’amore. Poi la guerra. Il Giappone che annientava una dopo l’altra le fortezze occidentali e Akira che scriveva lettere su lettere, sempre d’amore, sempre a ricordare quei pomeriggi di sole nei campi, poi l’accademia, gli Zero. Pearl Harbor. Akira non si sentiva invincibile, aveva paura mentre in lontananza scorgeva la flotta americana. Suono di sirene. Abbassamento di quota e primi proiettili che saettano nell’abitacolo, il Ki-115 è lento, inizia a perdere pezzi di fusoliera e il cuore d’Akira batte sempre più forte. L’aereo va in stallo, rimane in rotta, la Uss Columbia è a pochi metri, Akira chiude gli occhi, per un momento il sudore, le lacrime e la condensa gli ricordano casa sua, Nami davanti a lui, il Giappone. Il fuoco. Il sole ormai alto. L’esplosione pazzesca. Vite spezzate. Lutti. Una bimba che non conoscerà mai suo padre.

6 agosto 1945. Nami non ha notizie di Akira, teme il peggio. Ogni mattina si reca a recuperare beni di prima necessità: il Giappone è allo stremo, distrutto, i B-29 americani martellano le città giapponesi continuamente. Ma ad Hiroshima regna la calma da qualche tempo. Un lampo. Un caldo infernale. Un grande sole, infuocato, che illumina il paese del sole con i suoi raggi di morte. Uno spostamento d’aria senza precedenti. Nami che finisce a terra con la sua figlioletta, sarà l’ultima cosa che vedrà prima di raggiungere Akira. Il pianto di Yorii spezza il silenzio della morte, in quelle macerie liquefatte una bimba ed un bonsai di 350 anni si salveranno. Il passato ed il futuro del Giappone non moriranno ad Hiroshima. Yorii crescerà scampando anche alle conseguenze delle radiazioni, vivrà con gli zii a Tokio e chiamerà Akira e Nami i suoi due figli. Ogni anno si reca ad Hiroshima a guardare quel bonsai centenario, rigoglioso come il Giappone moderno, terza potenza economica mondiale. Il rispetto di una cultura millenaria deve stare nei nostri cuori in giornate come queste, i figli del vento divino giapponesi erano uomini d’onore, con un senso del dovere unico e mai avrebbero compiuto atti verso civili inermi. Il loro atto di disperazione estremo sarà uno dei mattoni che faranno del Giappone una nazione moderna, il mio è solo uno spunto di riflessione per comprendere anche gli scenari d’oggi, più vigliacchi ma generati da disperazione. Siamo alla ricerca di un mondo nuovo, un mondo che forse anche persone come Akira e Nami avrebbero condiviso, ma non ne hanno avuto la possibilità, noi invece che possiamo, cambiamo e guardiamo al sole, simbolo di vita.

Nota bene. La storia è frutto di fantasia, i fatti storici descritti sono reali.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale