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Italian snipers: una vita tra tetti e buche

17 Maggio 2015

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Italian snipers: una vita tra tetti e buche

Perché la nostra sicurezza dipende da questi uomini invisibili, anche sul territorio nazionale. Un viaggio da Herat all’Italia passando per la Libia per delineare cosa ci aspetta e perché.

Italia, paese di santi, poeti, marinai e cecchini. Già, avete capito bene, cecchini. Questo il lavoro della nostra TASK FORCE 45 in Afghanistan ed in altri teatri di crisi. TASK FORCE 45 ai più non dice nulla, in realtà questo reparto speciale interforze tutto italiano (formato dai migliori soldati usciti dal GOI, COMSUBIN, COL MOSCHIN, INC. AERONAUTICA) è fondamentale per i nostri reparti e convogli impegnati in operazioni logistiche e non in territorio ostile. Pochi sanno che i nostri soldati sono i più apprezzati insieme agli americani: professionali e disciplinati. Chi storce il naso purtroppo in parte potrebbe avere ragione: la nostra costituzione ci vieta azioni d’offesa. Questo il motivo per cui questo reparto prenda ordini direttamente dalla NATO (comando di Heratper l’Afghanistan ad esempio). Ma se la 45 è impegnata in Oriente, altre Task Force meno conosciute ma altrettanto efficienti operano in Africa e Libano. I nostri militari di truppa li hanno ribattezzati “angeli dei tetti”, definizione appropriata visto il sensibile calo di vittime da quando questi reparti speciali sono operativi. Si vocifera di una TASK FORCE ITA-ONE, ovvero di un reparto ad hoc presente sul suolo italiano e pronto in caso d’attentati o sequestro di persone. Questa formazione segretissima sembra sia stata costituita nel 2004, dopo l’attacco alla Spagna. Le basi dovrebbero essere sparpagliate sul territorio nazionale ed attivarsi in caso di crisi. Le operazioni che si richiedono a questi uomini sono chirurgiche e assimetriche, molto complesse se effettuate in contesti urbani, la strage di Parigi ha insegnato molto. L’unico fatto certo è che questi uomini siano stati precedentemente impegnati nei territori più pericolosi del pianeta e siano preparati a qualsiasi evenienza. In dotazione le armi di precisione più moderne, elicotteri da trasporto e da guerra, oltre ad un addestramento che dire duro è poco. Sarà sufficiente per intervenire in eventuali eventi tragici? Ci auguriamo di non scoprirlo mai. Ma torniamo a Herat e chiediamoci: come opera uno “sniper italiano” della TF 45?

Polvere, puzza di nafta e un gran vento che sbatte sulle tende militari. Occhi appannanti da sole e sabbia, pochi sorrisi, maschere marroni che si guardano, occhi che sembrano puntini bianchi, qualche lacrima che s’impasta alla sabbia per il vento. Il sudore che scende sulla fronte e lascia un leggero sapore di sale sulle labbra. In questo contesto quotidiano opera Luca, il cui nome è di fantasia. Luca è un sottufficiale del IX reggimento Col Moschin con alle spalle oltre 12 anni di missioni nei peggiori posti del mondo. In Afghanistan opera come fantasma della TF 45, l’unità fatta di fantasmi che il governo italiano dice non esistere. Con Luca non si può andare, con lui non si può parlare. Luca dorme di giorno e lavora la notte. Si occupa di missioni dette “ cinetiche”, in pratica deve capire se i convogli sono minacciati ed in caso intervenire. Luca è anche stato decorato, ma dal Pentagono, una notte il suo grilletto salvò svariati americani. Dall’Italia nulla, ufficialmente lui non esiste. Diventare un soldato fantasma è dura, nemmeno la famiglia sa dove opera il militare, tutto è top secret. Molti di questi uomini hanno all’azione più di quaranta missioni “chirurgiche” a testa e Luca ne ha coordinate e pianificate circa una sessantina, una vera enormità. La nostra costituzione ci vieta questi approcci, ma i nostri governi hanno dovuto aggirare il problema perché i nostri militari sono in giro per il mondo con regole d’ingaggio severissime, prima di rispondere al fuoco devono constatare si tratti di pericolo vero, questa strategia ci costò numerosi vittime (quasi azzerate negli ultimi due anni). Gli italiani si sono talmente specializzati in questi combattimenti che i nostri istruttori sono richiesti in mezzo mondo, anche dai più famosi Navy Seals. In Europa francesi e spagnoli si recano nel nostro paese con una certa regolarità per seguire nel dettaglio l’addestramento dei nostri uomini. La Spagna inoltre addestra le proprie forze speciali (molto fatiscenti, a dir la verità ed inadeguate a fronteggiare attacchi di un certo livello) quasi in toto con istruttori italiani. Ci siamo ritagliati un ruolo che fino a metà anni ’80 era esclusiva degli americani. Il nostro esercito, tolta la leva, ha puntato tutto su mezzi e uomini di qualità, pochi ma buoni insomma. Gli interventi moderni richiedono questo del resto ed il nostro paese sembra sia stato più lungimirante di molti altri e l’opinione pubblica ne è allo scuro. Obama l’ha capito, infatti a Renzi ha chiesto ancora più collaborazione in cambio di carta bianca in Libia, che in realtà non passa dal teatrino dell’Onu ma dagli Usa. Una speciale unità d’intervento è pronta da tempo per intervenire in Nord Africa, come ancora non è dato saperlo. Se lo augura Borat (nome di fantasia), profugo salpato vicino a Derna che ha visto morire i suoi due figli in mare e ha assistito allo stupro multiplo della moglie sulle coste libiche. Passato per Bolzano e respinto dall’Austria.  stato che dipende dall’Italia come difesa aerea, non ha piloti abilitati per i suoi 12 Eurofighter…e sono i nostri a difenderne i cieli, basterebbe sospendere tale servizio e la solidarietà austriaca di sicuro aumenterebbe..i caccia russi sono ad un tiro di schioppo..) Borat arriva dalla Siria e considera la Libia l’inferno per eccellenza. Pestaggi, minacce e frustate, notti nei container e poi obbligato a salire con la sua famiglia su una carretta, naufragata a largo delle nostre coste di notte. Lo ha salvato una nave della marina militare italiana. La sua vita è distrutta ed il suo unico scopo è raggiungere il fratello in Danimarca. In questi giorni non è ancora chiaro cosa in Libia si andrà a fare, tra smentite e proclami sarebbe anche ora di lasciare l’ipocrisia a casa e non permettere più che storie come quelle di Borat si ripetano.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale