Abbiamo incontrato il Maestro Giovanni Alvino, un pianista concertista appena ventinovenne con un notevole curriculum alle spalle. Nonostante la giovane età, è risultato vincitore di molti primi premi in concorsi nazionali ed internazionali, si esibisce costantemente in numerosi recital per importanti enti ed associazioni musicali tra cui “La società dei concerti” di Milano e “Ravello Concert Society. Giovanni Alvino ha iniziato a suonare all’età di tre anni ed ha debuttato come enfant prodige al Maurizio Costanzo Show nel 1992. Si è principalmente formato sotto la guida del M° Carlo Alessandro Lapegna. Si è diplomato con il massimo dei voti, da privatista, al Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Ha frequentato numerose masterclass e corsi di perfezionamento con importanti nomi del concertismo internazionale tra i quali: Vincenzo Balzani, Aldo Ciccolini, Marcello Abbado, Sergio Perticaroli, Enrico Pace, Annamaria Pennella, Antonio Pompa-Baldi, Leonel Morales, Boris Petrushansky, Vsevolod Dvorkin, Leonid Margarius. E in fine alla prestigiosa Accademia Internazionale “incontri col Maestro” di Imola, sotto la guida del M° Piero Rattalino. All’attività concertistica affianca quella didattica: i suoi giovanissimi allievi sono risultati vincitori di concorsi pianistici nazionali ed internazionali. È invitato a far parte di concorsi nazionali e internazionali a categorie. È Direttore artistico della sede AMI di Benevento, Associazione Mozart Italia e forma un Duo Pianistico con Elena Piccione.
Maestro, Lei è un concertista e insegna pianoforte. Cosa Le piace di più, l’esecuzione o la didattica?
“L’esecuzione e la didattica sono due aspetti diversi dell’essere musicista, due mestieri diversi ma sono due facce della stessa medaglia e uno sottintende l’altro. Mi piace fare Musica. In realtà non ho mai scelto di fare il musicista, mi ci sono ritrovato a farlo fin da bambino. Probabilmente causa scatenante di questo piacere è stata un fortunato cocktail di doti che hanno dato vita ad un talento fin dalla tenera età. Attualmente voglio e cerco di essere un musicista a tutto tondo, voglio farlo in tutti i modi possibili. Faccio il pianista e l’insegnante certamente per lavoro ma essenzialmente per vocazione. Svolgo con piacere entrambe le attività, con interesse e cerco di farlo con dovuta responsabilità nei confronti del mio talento e degli altri.”
C’è chi afferma che i grandi concertisti non siano dei buoni insegnanti e viceversa, è così?
“Pienamente vero. Per essere un grande insegnante di pianoforte bisogna essere necessariamente un buon pianista concertista, per essere un grande pianista non necessariamente bisogna essere un buon insegnante. Esiste una dote, un dono che può fare la differenza in entrambi i casi, io lo chiamo “intuito di movimento”. Ci sono pianisti che di fronte ad un problema tecnico riescono a trovare la giusta strada, altri no. Il talento (cioè colui che mette a frutto i doni) è colui che ottiene il massimo risultato col minimo sforzo. Questo tipo di talento permette al pianista di sopravvivere anche di fronte a scarsi o errati insegnamenti, di sperimentare nuove soluzioni tecniche più efficienti e meno dispendiose e di costruire un proprio, originale e valido meccanismo. Lo stesso talento permette all’insegnante di osservare, di analizzare e di costruire il meccanismo dell’allievo, di scorgere eventuali difetti tecnici di movimento e di correggerli. La tecnica prodigiosa è l’arte del movimento che col minimo sforzo ottiene il massimo rendimento nella produzione del migliore e più bel suono che si possa ottenere dallo strumento. Come può ben capire questo talento può fare la differenza sia per il pianista e di conseguenza per l’insegnante. Il pianista e l’insegnante utilizzano questo talento con modi e finalità diverse. Il pianista utilizza questo talento esclusivamente per esigenze personali mentre l’insegnante lo utilizza per costruire o per risolvere i problemi del meccanismo dell’allievo e lì entra in gioco un altro talento, la capacità di trasmettere e di comunicare. Il grande pianista trasmette e comunica le proprie idee attraverso l’arte dei suoni in modo convincente e magico, l’insegnante trasmette e comunica i propri saperi in modo convincente e determinato all’allievo. Non sempre un grande pianista riesce a comunicare i propri saperi e le proprie esperienze ad altre persone e le cause possono essere varie ma fondamentalmente tre. A volte ciò può succedere a causa della mancata “razionalizzazione” del proprio talento. Un grande pianista che ha sempre fatto determinate cose senza difficoltà potrebbe non essersi mai chiesto il perché, non avendone necessità, concentrandosi esclusivamente sulla musica, il tutto frutto di uno spiccato intuito di movimento o di un magistrale addestramento, approfittando pienamente del talento che gli permette di esprimere il proprio pensiero in modo pienamente soddisfacente. L’insegnamento sottintende la piena e necessaria razionalizzazione delle proprie capacità, dei propri saperi e in generale del proprio modo di essere. Altra causa potrebbe essere l’incapacità di trasmettere e di comunicare nel giusto modo. Mentre il grande concertista trasmette e comunica le proprie idee creando una connessione con l’ascoltatore, altrettanto l’insegnante crea una connessione con l’allievo per poter trasmettere i propri insegnamenti, sintonizzandosi col carattere e la personalità dell’allievo, inserendosi con dovuto riguardo tra l’allievo e lo strumento e prendendosi il potere di operare a fin di bene all’interno di uno spazio molto delicato e facilmente soggetto a danni psicologici. Altra e ultima causa potrebbe essere la mancata capacità di “essere psicologo” e di conseguenza “manipolatore” a fin di bene per ottenere ciò che si vuole. L’insegnante deve indispensabilmente essere un po’ psicologo, un po’ manipolatore, un bravo comunicatore, e deve altrettanto indispensabilmente aver razionalizzato il proprio talento, le proprie capacità e i propri saperi. Sono tutti aspetti indispensabili che contribuiscono alla buona riuscita di un insegnante e la mancanza di uno solo di questi aspetti può essere compromettente. Per essere un grande pianista bisogna avere un “fortunato cocktail di doni e conseguenti talenti” e mi rifaccio pienamente a ciò che ha detto in passato il Grande Busoni ma innanzitutto credo che tre siamo i doni fondamentali: musicalità, comunicativa e la capacità (talento) di esprimere entrambi questi doni con un meccanismo di prim’ordine. Quest’ultimo in gran parte si crea ed è frutto del lavoro di un buon insegnante, salvo un geniale intuito di movimento che non è indispensabile per essere un grande pianista, musicista, artista. La musicalità e la comunicativa fondamentalmente non si creano, possono avere un’ampia evoluzione ma non senza una base già esistente, forse innata. Anche in questo caso l’operato di un buon insegnante può fare la differenza. Come può ben capire il pianista e l’insegnante, come ho detto prima, sono fondamentalmente due facce della stessa medaglia anche se non sempre vanno di pari passo ma in fine si addiviene alla scontata conclusione che per essere un buon insegnante non si può fare a meno di essere un buon pianista.”
Dando un’occhiata all’Suo repertorio, ho trovato per primo Beethoven. Mi ricordo che la Prof. Nives Stokel, celebre allieva di Alfredo Casella amara dire che un grande pianista è chi suona Beethoven. Certamente è difficilissimo, dall’espressivo all’inespressivo. Lei cosa pensa?
“Per quando mi riguarda un grande pianista è chi riesce a produrre delle interpretazioni prodigiose allo strumento, nel nostro caso il pianoforte. Beethoven è di sicuro uno dei compositori fondamentali della letteratura pianistica, a cavallo tra Classicismo e Romanticismo ma non è il solo. Conosco pianisti che interpretano prodigiosamente Beethoven ma altrettanto male altri compositori. Per quanto mi riguarda mi sforzo e cerco di interpretare bene qualsiasi compositore. Saranno gli altri e il corso del tempo a decidere se raggiungerò livelli prodigiosi, forse è ancora presto, non sono ancora abbastanza vecchio per poter tirare le somme riguardo a ciò.”
Lei ha studiato anche ad Imola. Solo grandi pianisti escono da lì. Quindi possiamo sperare che Lei presto sarà un futuro Pollini?
“L’Accademia di Imola è una scuola prestigiosa. La selezione dei candidati viene fatta in modo molto selettivo, duro e senza alcuna riserva. Al di là di tutto posso dire con certezza che qualsiasi allievo dell’Accademia viene preso sull’indispensabile presenza delle necessarie doti che servono per poter diventare un grande pianista. Come ha sempre detto il Maestro Franco Scala, direttore dell’Accademia di Imola, è una scuola con un concentrato di didatti di prim’ordine che forgia talenti, basata sul principio che per forgiare un talento potrebbe non bastare un solo insegnante. Lui anni fa umilmente si mise in discussione sul proprio operato didattico e fece ascoltare i propri allievi a vari grandi pianisti e grandi didatti. Da lì nacque “Incontri col Maestro”, una formula che per un talento era rivoluzionaria e vincente. Non mi meraviglierei se sono usciti e se escono solo grandi pianisti da lì. Io ho avuto il mio rapporto con l’accademia di Imola da adulto, già formato dal punto di vista professionale. Mi presentai all’esame di ammissione, senza alcun’aspettativa, per lo sfizio di farlo e mi hanno preso. Da piccolo non ci ho mai provato, non me la sarei potuta permettere e comunque ho avuto degli insegnanti altrettanto validi. Sinceramente ero un po’ scettico sull’effettivo vantaggio che avrebbe potuto darmi dal punto di vista professionale visto la mia “avanzata età” se non per visibilità e per possibili opportunità riguardo concerti e altro. Mi sono dovuto ricredere. Mi hanno affidato al Maestro Rattalino, il percorso con lui è stato per certi versi illuminante e fondamentale per potenziare e valorizzare certi aspetti del mio talento riguardo la comunicativa e il livello artistico che a mio parere sono attualmente in piena crescita. Per quanto riguarda le possibili opportunità di concerti e di carriera sono rimasto abbastanza deluso. Innanzitutto non ho trovato la formula “Incontri col Maestro”, ovvero per poterla realizzare sarebbe stato impossibile economicamente parlando e totalmente fuori dalla mia portata. Ho trovato un’accademia in fase un po’ decadente che offre scarse possibilità nell’ambito concertistico. E’ evidente che la profonda crisi economica inevitabilmente ha colpito la prestigiosa scuola che si mantiene in piedi sul un glorioso passato degli anni addietro. Ciò indubbiamente inciderà sui candidati futuri “Pollini”. Per quanto mi riguarda, ammiro Maurizio Pollini, ho avuto il piacere di conoscerlo e posso dire che oltre ad essere un Grande Artista è anche una gran bella persona. Dal punto di vista didattico ha dato ben poco ma ci ha dato delle interpretazioni straordinarie che indubbiamente lasceranno un segno indelebile nella storia dell’interpretazione del pianoforte. Che dire, spero di riuscirci anch’io. Speriamolo tutti insieme.”
Mi dica molto apertamente. Un giovane pianista oggi ha ancora delle possibilità? Quante ore deve studiare al giorno?
“Questa è una domanda a cui non posso dare una risposta soddisfacente se non per altro per la mia giovane età, sono ad un passo dai trent’anni, non sono pochi e neanche tanti ma sicuramente pochi per fare un bilancio della propria carriera e della sua possibile riuscita. Durante la mia esperienza didattica che svolgo regolarmente dal 2007 e sulla base della mia esperienza da allievo Le posso dire con certezza che è fondamentale costruirsi un efficiente meccanismo, una valida tecnica che permette di esprimersi in modo soddisfacente con lo strumento, senza difficoltà. Non è mai tardi per farlo, lo si può fare a qualsiasi età ma per chi è intenzionato a fare il concertista dovrebbe essere in possesso di un efficiente meccanismo entro i sedici anni e diventare un completo esecutore professionista entro i venticinque anni. Tutto ciò è indispensabile per cimentarsi in tempo nel profondo percorso artistico spirituale che forse dura una vita intera, può raggiungere un proprio culmine entro una certa età e poi declinare e potrebbe anche non arrivare mai ad un livello sufficiente durante l’intero corso di una vita. Maestra di tutto ciò è la vita, quindi è fondamentale che un pianista che voglia diventare un vero artista debba avere una vita, deve aver vissuto. Ci sono tanti pianisti che studiano gran parte delle ore della giornata, escludendosi dalla società, dal mondo, dalla vita. Come ben diceva il Grande Busoni: “Colui per la cui anima non è passata una vita non dominerà mai il linguaggio dell’Arte”. Il segreto è mettersi in condizione di affrontare il proprio lavoro di concertista dedicando quattro, massimo cinque ore al giorno, mezzi e talento permettendo, come si fa per un qualsiasi altro lavoro. Se si esagera lo si fa a proprio rischio e pericolo. Quasi sempre si studia troppo per “resistere” ed “adattarsi” bene ai propri difetti di meccanismo, oppure per pura follia, una vera e propria forma di malattia. Ogni età ha le proprie esigenze e quello che si fa da giovanissimi si fa con molta fatica da adulti e quello che si fa da adulti lo si può fare bene e in tempo su una base ben solida costruita negli anni addietro. Per quanto riguarda altre possibilità, siamo in tempi di profondi cambiamenti, io in primis cerco di trovare le possibili strategie che mi permettono di farmi strada in un campo difficile e impegnativo e di combattere la profonda crisi spirituale ed economica che sta attraversando gran parte del mondo. Il mestiere di pianista-concertista specialmente di questi tempi sta diventando una vera e propria attività imprenditoriale. Il mio personale consiglio è quello di affidarsi ad un valido insegnante, di investire su se stessi e cercare di farlo nel modo migliore in base al proprio talento, le proprie possibilità e le possibilità che ci sono nei tempi che corrono.”