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Doppio passaporto: l’Alto Adige non è l’Istria, ma autonomia da esportare

25 Gennaio 2018

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Doppio passaporto: l’Alto Adige non è l’Istria, ma autonomia da esportare

Parlare di doppio passaporto in Alto Adige è legittimo ma il caso va trattato con obbiettività. La minoranza sudtirolese “passò” all’Italia dopo la Grande Guerra, una guerra persa malamente da Vienna. In alto Adige poi venne il fascismo, periodo buio che si concluse in simbiosi con il nazismo e le stragi 1943-45 ove furono gli italiani a subire, tra Sod (polizia sudtirolese) e deportazioni illegittime. Dopo il 1945 in Alto Adige si posero le fondamenta di quella che oggi è l’autonomia che al mondo non ha eguali. Imitata, ma mai copiata a fondo, il nostro status garantisce al 100 % la minoranza, scuole dedicate, bilinguismo e perfino un sistema proporzionale che gestisce i posti di lavoro a favore della maggioranza tedesca (il sistema ora è squilibrato, pensato nel dopoguerra per bilanciare i lavoratori italiani imposti ha finito la sua ragion d’essere). Dal 1945 ad oggi nessuna violazione dei diritti umani e minoranza (che poi è una maggioranza) tedesca che ha vissuto senza particolari problemi. Anzi, il terrorismo è stato subito da parte italiana. Ma una pagina è stata voltata, i rancori sono stati sotterrati ed il famoso “pacchetto” è stato chiuso nel 1992. In ex Jugoslavia invece gli italiani se la passarono malissimo, Tito infatti dalle foibe in poi scherzò poco. Scherzarono ancora meno nel 1992 alla dissoluzione dello stato balcanico. Il grosso degli italiani d’ Istria fu cacciato o ammazzato (in Alto Adige, per fortuna, nemmeno i fascisti arrivarono a tanto, le opzioni, seppur terribili ed assurde non portarono i Dableiber alla morte), successe nel Dodecaneso e successe anche in Libia. Nel 1992 il rischio per gli italiani della ex Jugoslavia era concreto, i croati soprattutto, preoccupavano. Il doppio passaporto fu deciso da nostro governo per motivi di sicurezza. Nei Balcani partirono le pulizie etniche (altro che cartelli e patentini…), ma grazie al solo discutere di quest’aspetto particolare, il tutto non toccò i nostri connazionali. I nuovi stati infatti evitarono di crearsi problemi con l’Italia che sarebbe intervenuta in caso di violazioni palesi. Croazia, Slovenia e Italia si sedettero ad un tavolo. Furono fatte proposte ove non si fece accenno alla revisione dei confini (insomma il passaporto non era scusa politica per altro), ma si parlò solamente invece di doppia cittadinanza (croato-italiana e sloveno-italiana) come “strumento per il superamento dei confini”, per citare un esauriente articolo di Repubblica. Accanto alle dichiarazioni politiche c’era anche la realtà quotidiana, e per questa il doppio passaporto fu una benedizione. Qualche esempio? L’ Italia è membro dell’Unione Europea (chissà quando lo sarà la Croazia) e questo offre garanzie in materia di spostamenti e di diritti patrimoniali. Repubblica descrisse cosi lo scenario. Considerando che in quelle zone si consumarono massacri (l’Italia politica negò per quieto vivere, una vergogna nazionale), che Tito mai concesse nulla di nemmeno paragonabile all’autonomia altoatesina, anzi spesso gli italiani erano penalizzati. Oggi invece tra Austria ed Italia non ci sono muri (se non quelli austriaci anti migranti), non vi sono minacce per la minoranza altoatesina di lingua tedesca o ladina (comunità sempre dimenticata) e quindi il passaporto pare più una provocazione. Lo si potrebbe concedere a patto d’altro, ad esempio una rinuncia definitiva a pretese secessioniste (che con la doppia cittadinanza non avrebbero senso) e d’impegno serio per una convivenza plurilingue (con annessi cartelli). Il doppio passaporto, come il caso di via Cadorna a Merano, non devono diventare rivincite inutili a cento anni dalla Vittoria della Grande Guerra (od inutile strage, come preferite). Nessuno in Alto Adige è minacciato o perseguitato, in questa terra abbiamo chiuso tanti occhi e metabolizzato fascismo, terrorismo, Sod, nazismo creando le condizioni di benessere che ci permettono di sposarci tra noi evitando i fucili (non siamo in Ulster). Il paragone con la tragedia istriana non regge, anzi, a quelle zone dovrebbe esser applicata la nostra autonomia, come in Palestina ad esempio. Siamo un modello non perfetto, frutto di compromessi che abbiamo accettato tutti, sacrificando qualcosa, facendo passi piccoli indietro ma molti enormi in avanti. Alle bombe abbiamo preferito altro, vogliamo concedere la doppia cittadinanza? Facciamolo, seduti ad un tavolo, rispettando la costituzione (quindi l’Unità d’Italia) ed evitando vendette politiche. A cento anni da Vittorio Veneto piangiamo tutti i morti di quella guerra, senza distinzioni, quindi facciamo in modo che quei sacrifici siano serviti per mantenere qui una pace duratura, senza paragoni imbarazzanti e guardando ad un futuro condiviso, che davanti a certe pretese non pare così scontato come ci sembrava.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale