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Post Italia: nel nome di Dante si sono rotti le palle

30 Marzo 2017

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Post Italia: nel nome di Dante si sono rotti le palle

Siete italiani? Ed allora prendente carta e penna ogni qual volta qualcuno vi parla. Prendete appunti, siate solerti e silenziosi. Perché? Non mancherà di darvi dei consigli, non farà a meno di sottolinearvi i nostri vizi storici, da Bolzano a Lampedusa: gli italiani “devono”. Volete dissentire? Bene, preparatevi alle palate di fango: sarete bollati, etichettati, giudicati, moralizzati, inscatolati, zittiti, screditati e sbeffeggiati. La damnatio memoriae è dietro l’angolo, in alternativa una più fantozziana “crocifissione in sala mensa”, del resto è quasi Pasqua. Medesimo percorso vi sarà indicato anche su altri fronti. Dite la vostra in economia? Asini! L’euro e l’Europa non si discutono, presente il mantra “lo dice l’Europa?”. Una panacea per tutti. Va tutto bene? Merito dell’Europa e demerito vostro. Va tutto male? Demerito vostro e basta. Vi permettete di far un qualche ragionamento su tematiche geopolitiche? Colonialisti e giù di guerra d’Etiopia e fascismo. Già il fascismo, non ci fosse stato ci sarebbero ancora più disoccupati. La metà o più degli uomini di pensiero non può farne a meno. La frasetta di circostanza (spesso non conoscendo il fenomeno che fu, che infatti in modelli diversi sta riemergendo), il pensiero corretto, stereotipato che in questo paese porta di diritto nella classe intellettuale, nessuna reale analisi, nessun Gramsci, Pasolini o Croce, solo sterilità autoreferenziale. Che tu sia un asino, un pallone gonfiato poco importa, la frasetta e la morale ti daranno più curriculum di una qualsiasi pubblicazione. Le nostre classi dirigenziali? Spesso esterofile ed autolesioniste. Incapaci di veicolare la nazione (che non è una brutta parola) in un contesto moderno, senza demonizzarla, senza esaltarla pericolosamente, ma valorizzandola partendo da un patrimonio artistico e culturale senza eguali. Ma in realtà come si ragiona in questo paese? Abbiamo avuto il Rinascimento? Pazienza, volete mettere la storia di Vanuatu? Abbiamo Roma? Pazienza, non vorrete non conoscere l’ecosistema delle Antille? Abbiamo una bandiera ed un inno? Ma non sventolate tricolori, non cantate inni, non emozionatevi per il vostro paese, non siate fieri di ciò che siete, no è tutta retorica. Ovviamente l’applicazione del paradigma è a senso unico. In Alto Adige pare una comica. Contemporaneamente alla condanna dei nazionalismi, a soli pochi metri, la parola Heimat (patria) spopola. Tutti possono essere patrioti, anzi devono esserlo, tranne gli italiani ovviamente. Loro no. Dopo il 1945 il paese ha subito una sorta di snazionalizzazione intellettuale, per uscire dal tunnel della dittatura, come al solito in Italia è tutto degenerato. Un esempio? Avete presente quell’olandese che ha etichettato i popoli del Sud come gran bevitori pieni di donne, inclini al lamento e pieni di debiti? Fosse stato un qualsiasi politico del Belpaese? Ve le immaginate le levate di scudi? Le inchieste? Le segnalazioni all’Onu? Le autocensure? L’identità italiana non pare però smarrita, esiste, presente in più strati della popolazione, dal basso all’alto. Le manca una vera guida, politica quanto culturale. Mancano ideologi del pensiero da applicare alla nostra nazione, troppo occupati ad importare idee degli altri, ciechi e sordi nei confronti del proprio popolo, un tradimento mentale bello e buono. Ma non è la prima volta che capita, successe dopo la caduta dell’Impero Romano. Ci pensarono Dante, Petrarca e molti altri, forgiarono la forma mentis del paese moderno, tra mille difficoltà. Il presidente Ciampi ebbe perfettamente ragione a valorizzare il Sommo in chiave patriottica. Infatti Enrico Bianchi scrisse nell’introduzione del suo fortunato commento dantesco: “Fra i grandi geni che mostrarono al mondo attonito di che cosa la mente umana sia capace, Dante è senza dubbio il più grande. Egli è la più pura gloria dell’Italia; gloria che nessuno ci può togliere, per passar di tempo o mutare d’eventi. Egli è stato e sarà sempre segnacolo d’italianità; e intorno a lui e nel suo nome si raduneranno gl’Italiani ogni volta che l’amore della patria fiammeggerà nei loro cuori; e lo sentiranno lontano da sé, solitario e sdegnoso, quando per torti raggiri o con arti indegne vorranno far male a quell’Italia ch’egli tanto amò.” Nacque qualcosa di unico, che rimase vivo nelle classi intellettuali e che sfociò nel Risorgimento. Ci volle Manzoni a ricordarci di quanto fosse svilente per il nostro popolo esser cameriere degli altri. “Franza o Spagna purché se magna”, ricordate? Cademmo nella dittatura per tanti motivi (il primo l’incapacità della sinistra d’allora, unico fuori dal coro il povero Matteotti), ma per un certo tempo l’italiano medio si esaltò tra imperi ed imprese, anche di cartone. Una rivincita che il Regime seppe abilmente sfruttare e che fu la nostra rovina nel dopoguerra, ove qualsiasi sentimento nazionale venne assopito. Ci volle un mondiale di calcio per tornare a cantare l’inno. Ci volle un calciatore, Paolo Rossi, per tornar orgogliosi d’esser italiani. Lo sport ci ha sempre esaltato, popolo umile il nostro in realtà, operaio ed artista, poeta e chiacchierone, che soffre per arrivare, che sembra sempre battuto, ma che alla fine il colpo di reni lo porta oltre l’ostacolo, che una soluzione la trova (il retaggio arriva direttamente dai romani, veri geni nel superare ostacoli, ci hanno lasciato questa abilità) Abbiamo vinto cosi la Prima guerra Mondiale, con un colpo di reni. Italiani ignoranti perché si esaltano con lo sport? Forse perché per qualche tempo altro non rimase, nessuno in Italia infatti poté esaltarsi per una poesia od uno scritto di D’Annunzio o di altri, rischio apologia perfino incensare Cesare.  Mentre filosofi, intellettuali, politici, giornalisti, distaccati dal popolo, pontificano ed emanano circolari morali, piene zeppe d’ordini ove pretendono d’indicare come essere o non essere, gli italiani, popolo pop, si sono figuratamente e non, rotti le palle, per parafrasare Bianchi, radunati, ancora una volta intorno a Dante.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale